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Di Maio minaccia multe per punire i dissidenti Ma la pistola è scarica

Cade nel vuoto la sanzione di 100mila euro Il leader convoca i fedelissimi alla Farnesina

Di Maio minaccia multe per punire i dissidenti Ma la pistola è scarica

Dopo la rabbia, la consapevolezza di un appello caduto nel vuoto. Luigi Di Maio, reduce da qualche settimana di respiro, si è rinchiuso di nuovo nella sua torre assediata. L'unica reazione che il capo politico ha prodotto dopo l'addio della senatrice Silvia Vono, passata a Italia Viva di Matteo Renzi, è stata il rispolvero, tardivo e nei fatti inapplicabile, di un vecchio cavallo di battaglia grillino: il vincolo di mandato. Liquidato dagli alleati di governo del Pd alla stregua di una boutade, già ridotto al rango di «provocazione» persino dai suoi. «Purtroppo introdurre il vincolo di mandato non dipende soltanto da noi diceva ieri un pentastellato vicino al leader ma è stato un modo per porre l'attenzione sul problema del trasformismo». Niente di più. Così come ci si muove con i piedi di piombo anche sull'altro tormentone lanciato da Di Maio per stoppare le voci di transfughi in aumento, ovvero la multa di 100mila euro per chi cambia casacca. Una regola interna fino ad ora rimasta solo sulla carta. Il risarcimento, infatti, è previsto dall'ultimo Codice etico del Movimento, approvato a fine dicembre del 2017, prima dell'apertura delle candidature per le elezioni politiche dell'anno scorso. Ma Di Maio non ha mai chiesto a nessun altro dei dissidenti fuggiti verso altri lidi di pagare la penale. Il motivo? La paura, diffusasi già dopo l'espulsione del senatore Gregorio De Falco, di una valanga di ricorsi proprio sulla penale per espulsi e transfughi. L'avvocato Lorenzo Borré, che difende tra gli altri De Falco, al Giornale spiega perché sarebbe impossibile per il capo politico chiedere i famosi 100mila euro: «Per gli espulsi c'è l'art.67 della Costituzione che vieta il vincolo di mandato a fare da scudo, ma sono tutelati anche i parlamentari, come ad esempio la Vono, che decidono di uscire, perché nel Codice etico c'è scritto come premessa che gli oneri per la campagna elettorale sono integralmente a carico del M5s e in virtù di questo chiedono il risarcimento di 100mila euro». Ma c'è un problema: «Nel bilancio del Movimento del 2018 non figurano spese per la campagna elettorale, perché le spese sono state sostenute non dal M5s ma dal comitato per le elezioni politiche che era stato creato appositamente prima della tornata elettorale». Questioni forse di forma ma che, come conferma Borrè, renderebbero impugnabile qualunque richiesta di risarcimento per chi va via.

Dunque, cadute nel vuoto le minacce, il capo politico si è «consolato» con un nuovo vertice dei ministri e sottosegretari grillini convocato alla Farnesina. Tornato da New York, Di Maio ha chiamato a raccolta tutti i governativi nella sede del «suo» ministero per fare il punto sull'azione del governo e su questioni importanti per mantenere le differenze con il Pd come taglio dei parlamentari e immigrazione. Mentre va avanti la mediazione sulla nuova organizzazione del M5s. Come anticipato giovedì dal Giornale, si va verso un organigramma con il leader sempre saldo al comando ma coadiuvato da 12 portavoce eletti.

E il sottosegretario Stefano Buffagni ha confermato: «Si sta lavorando per allargare la segreteria, perché è evidente che la complessità è tanta e Di Maio ha bisogno di essere affiancato da più persone».

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