Di Maio ministro cinese. Ci danno degli untori e lui corre a difenderli

La propaganda di Pechino vuol mettere la sordina all'emergenza. E il grillino si inchina

Di Maio ministro cinese. Ci danno degli untori e lui corre a difenderli

Il Covid19 non è stato fabbricato in un laboratorio cinese. Ma che il contagio sia partito dalla provincia di Hubei pare ormai accertato. Così come la «timidezza» iniziale del regime nel condividere con il mondo preziose informazioni su quanto stava accadendo. Ecco perché la Repubblica popolare sta profondendo grandi sforzi propagandistici per cancellare quella parentesi, soprattutto ora che Xi Jinping ha deciso di mandare al mondo il messaggio che da loro l'emergenza è finita, mettendo a tacere i dissidenti che parlano di metodi poco ortodossi per «cancellare» il problema. Pechino ora annuncia addirittura chiusure delle frontiere per evitare contagi di ritorno.

Ogni accostamento alla malattia deve sparire, incluso un tweet del 2018 in cui il China Daily vantava la più grande banca dati di virus dell'Asia: l'Istituto di virologia di Wuhan. Tweet rimosso. E ieri nella videoconferenza dei ministri degli Esteri del G7 si è rischiata la rottura quando gli Usa hanno proposto di denominare «Wuhan virus» il Covid19. La proposta, respinta tra l'indignazione cinese, suona come una risposta al tentativo di Pechino di attribuire il primo contagio a militari americani. Tentativo ripetuto pochi giorni fa quando il Global Times, media che risponde al partito comunista cinese, ha ripreso e distorto una dichiarazione di Giuseppe Remuzzi, direttore dell'Istituto «Mario Negri», per sostenere che il Covid circolava in Italia a novembre, prima che in Cina.

Del resto chi dalla Farnesina dovrebbe smentire certe subdole maldicenze, si è invece trasformato in megafono dei cinesi in Italia, quasi un ministro di Pechino distaccato a Roma. Le foto con il team di medici arrivato in aiuto dalla Cina, l'esaltazione a getto continuo della Via della Seta, ringraziamenti a Pechino quasi quotidiani per l'invio di mascherine spacciate dal Blog delle stelle come gentile omaggio e invece acquistate con un normale appalto.

Ieri il ministro degli Esteri ha detto al Corriere che «la Cina è stata la prima a rispondere». Due giorni fa è corso a smentire il video di un vecchio servizio Rai sugli esperimenti cinesi sui virus che aveva invaso la Rete. «Diffondete le parole degli scienziati» ha arringato Di Maio, archiviando opportunisticamente la storica diffidenza grillina verso la scienza, dalle scie chimiche ai no vax. «Chi ci ha deriso sulla Via della Seta - esultava tre giorni fa l'ex capo politico pentastellato- ora deve ammettere che investire in questa amicizia ci ha permesso salvare vite in Italia». Parole che hanno costretto perfino gli alleati di governo a uscire allo scoperto. «È ingrato nei confronti di tutti i Paesi che stanno aiutando l'Italia», accusava la deputata Pd Lia Quartapelle. E dall'opposizione è arrivata l'interpellanza del responsabile Esteri di Fdi Andrea Delmastro che ha chiesto di fare chiarezza sulla «genuflessione al Dragone» denunciata dal sottosegretario agli Esteri Ivan Scalfarotto, il quale ha anche ricordato che il M5s non si limita ai ringraziamenti, ma ha prodotto una linea morbida dell'Italia in occasione delle violenze a Hong Kong. Tanto più che l'export italiano verso la Cina, come ha segnalato ieri il Foglio, è in calo, alla faccia della Via della Seta, mentre il nostro import di prodotti cinesi cresce.

Ora è pressing su Conte perché accerti il livello di influenza di Pechino sul governo. Purché il premier non lo chieda al suo consulente Gunter Pauli, vecchio amico di Beppe Grillo e autore di un appassionato elogio della Cina.

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