Tu-tu-tu, telefoni staccati. Bocche cucite e un florilegio di cifre preoccupanti. Il weekend elettorale che ha portato fino a qui, non è stato di certo tra i più sfavillanti nella storia del Movimento Cinque Stelle.
Il climax della tensione si è raggiunto con il primo exit poll, alle 23, che ha consegnato al vicepremier Luigi Di Maio le proporzioni di un risultato deludente: con un valore centrale della forchetta attestato al 20,5%. Débâcle confermata dal 18,7% delle proiezioni Tecné per Matrix. Nettamente al di sotto del Pd di Nicola Zingaretti. Oltre dieci punti persi rispetto alle politiche del 2018. Ma le ore precedenti, caratterizzate da un susseguirsi rapido di numeri, variazioni di decimali, calcoli e paure, non sono state più rilassanti. Le rilevazioni «coperte», passate di mano in mano con insistenza a partire dal tardo pomeriggio, hanno confermato sin da subito il timore dei vertici pentastellati.
Un incubo materializzatosi nell'immagine del sorpasso, la famosa scena del film di Dino Risi condivisa su Whatsapp in alcuni messaggi tra i grillini. La costante è una soltanto: il Partito democratico avanti; e il M5s, la creatura politica fabbricata proprio per far implodere il centro sinistra, inesorabilmente dietro. Alla vigilia i Cinque Stelle avevano piazzato l'asticella delle percentuali tra il 23 e il 24%, nonostante più di qualche previsione elettorale preconizzava un Di Maio pericolosamente sospeso nel limbo del 20%. Vera e realistica «soglia psicologica», oltre cui lo stato maggiore è pronto a mettere in discussione la leadership del capo politico. Il leader si è fatto vivo a notte inoltrata facendo trapelare un messaggio consegnato ai suoi uomini: «Testa bassa e continuiamo a lavorare, il M5s è ancora l'ago della bilancia, avanti con la riorganizzazione interna sui territori chiesta dalla base».
Il dibattito interno, da meno di un mese a questa parte, infatti è vivacizzato da quella che appare un'assoluta novità per quanto riguarda gli equilibri stellati, ovvero i primi scricchiolii nel patto di ferro tra Davide Casaleggio e Di Maio. L'alleanza che ha retto le sorti del Movimento almeno a partire dal 2016, con l'uscita di scena di Casaleggio senior. Al titolare della srl milanese dove è nato il M5s, e non è nemmeno tanto più un mistero, piace sempre di più il premier Giuseppe Conte. Personalità molto gradita dalla «base» e tra le applaudite nelle manifestazioni stellate, assente ieri sera al quartier generale allestito nella Sala della Lupa di Montecitorio. A far detonare la miccia dello scontro interno potrebbero essere le divergenze sulla struttura da dare al partito e i confronti sul limite dei due mandati, insieme a un risultato non soddisfacente alle europee. Una potenziale miscela killer per Di Maio.
Intanto, gli occhi del vicepremier grillino sono puntati sui risultati nelle varie sezioni del Sud, dove non è arrivato il boom desiderato. Anche a causa di un «nervosismo elettorale» dovuto alla delusione per il reddito di cittadinanza e al tradimento di una serie di battaglie ambientaliste che hanno rappresentato il carattere identitario del M5s: dall'Ilva di Taranto, alla giravolte su Tap in Salento e trivelle nei mari Jonio e Adriatico.
E non mancano i primi
mugugni, provenienti direttamente dalla bocca del capo politico, sull'affluenza «troppo bassa» nelle regioni meridionali. La certezza è una sola: il vicepremier Di Maio è seduto in prima fila, al banco degli imputati grillini.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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