L'antisionismo di ritorno

Le tante manifestazioni in corso anche nella parte non violenta dei partecipanti si stanno trasformando in sempre più significative e preoccupanti manifestazioni di antisemitismo

L'antisionismo di ritorno
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Siamo ormai a pochi giorni dal 7/10 ed è facile prevedere che il secondo anniversario del pogrom terroristico perpetrato da Hamas possa essere celebrato in modo molto diverso da quello precedente. In questo anno ha infatti via via prevalso un racconto della guerra a Gaza che ha praticamente cancellato la data del 7 ottobre. Sino ad equiparare implicitamente ciò che sta avvenendo a Gaza al genocidio dei nazisti contro il popolo ebraico. Una narrazione che prevale nella rappresentazione mediatica e che sta ispirando le mobilitazioni di questi giorni anche nel nostro Paese.

Se l'uso strumentale della tragedia di Gaza che si è tentato di fare nelle ultime elezioni regionali non ha prodotto i frutti elettorali sperati vale comunque la pena cercare di capire come mai questo sia stato possibile, come si sia smarrita nella gran parte delle analisi che si leggono e si ascoltano le ragioni vere che sono alla base del conflitto. Non solo per ristabilire la verità su come siano andate le cose ma anche per contribuire a interrompere la tragedia umana e politica che lì si sta consumando. Certamente pesa la condanna pressoché unanime della sproporzionalità assunta dalla giusta e inevitabile risposta israeliana all'eccidio del 7 ottobre. Nell'ultimo anno essa ha superato i limiti provocando un tal numero di morti civili da renderla non solo umanamente inaccettabile ma politicamente dannosa per lo stesso Stato di Israele. Il prevalere all'inizio di quest'anno nella coalizione del governo israeliano dei suprematisti e l'emarginazione dei moderati sancita dalla "dimissione" del ministro Gallant ha segnato una svolta rispetto all'anno precedente sia nella condotta militare a Gaza che nell'azione dei coloni in Cisgiordania. Ma ciò nulla ha a che vedere con quella "inversione della colpa" così insistentemente alimentata dalla macchina mediatica.

Le tante manifestazioni in corso anche nella parte non violenta dei partecipanti, pur muovendo da una legittima indignazione per quel che accade a Gaza, si stanno trasformando in sempre più significative e preoccupanti manifestazioni di antisemitismo. In realtà torna a farsi sentire un antisionismo mai sopito in molti settori delle società occidentali e anche del nostro Paese. Ed è un serio motivo di preoccupazione il riemergere a sinistra, non solo nella componente più radicale, di quell'antisionismo che sembrava definitivamente archiviato. Ci vollero tre decenni di intensa battaglia culturale e politica nella sinistra italiana per superare la drammatica frattura che nel '67 segnò il rapporto tra sinistra ed ebrei. Oggi una classe dirigente superficiale assiste passivamente a un simile rigurgito e lo asseconda. Inoltre anche in Italia una forte spinta antioccidentale, e qui concordo con il prof. Orsina, ha trovato nel Medio Oriente un causa ideale. Il combinato disposto di antisionismo e antioccidentalismo, così presenti nelle mobilitazioni in atto potrebbe dunque rivelarsi non solo dannosa per la pace che si dichiara di volere ma segna un serio arretramento politico culturale anche di una parte del movimento democratico.

Si è provato ad immaginare quale sarebbe stato il corso delle vicende dopo il 7 ottobre se quanti oggi chiamano a manifestare contro Israele avessero dedicato lo stesso impegno e la stessa mobilitazione subito dopo il progom per denunciare la violenza criminale di Hamas e chiedere la liberazione degli ostaggi? Se in tutto il mondo centinaia di migliaia di persone, in terra e per mare, avessero fatto sentire il loro sostegno ai familiari degli ostaggi e al popolo di Israele isolando i terroristi di Hamas? Forse oggi avremmo più ostaggi liberi e molti meno morti a Gaza. Certo la storia non si fa con i "se" e con i "ma", tuttavia i se e i ma possono risultare utili per riflettere sulle cause degli eventi e aiutare a nuove riflessioni per il futuro.

Di qui la necessità di una forte e coraggiosa battaglia politica culturale che non consenta di dimenticare il 7 ottobre e colga l'occasione del piano Trump per rilanciare concretamente una iniziativa per pace a Gaza e in tutto il Medio Oriente.

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