«È chiaro che al presidente del Consiglio non fa piacere che lo spread sia salito però dobbiamo tenere conto che abbiamo finito tardi, non c'è stato neppure il tempo di una conferenza stampa e non c'è stata la possibilità di illustrare ai mercati» i dettagli della linea economica. Il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, ha accolto con una buona dose di fatalismo il responso negativo delle Borse alla decisione di innalzare il livello del deficit/Pil al 2,4% per un triennio producendo nel medesimo arco di tempo 40 miliardi di maggiore disavanzo e, dunque, peggiorando un debito pubblico di per sé già insostenibile.
L'imprenditore Arturo Artom, avvicinatosi di recente al Movimento, ha suggerito di organizzare un roadshow, cioè una serie di presentazioni nelle piazze finanziarie più importanti (à la façon delle grandi società quotate che vogliono attrarre investitori), in modo da far comprendere che il diavolo non è poi così brutto come lo si dipinge. Peccato che il mercato non abbia bisogno di slide e di tavole illustrate per comprendere quale sia il sentiero su cui Di Maio e Salvini vogliono far incamminare l'Italia, quello del default (con o senza l'uscita dall'euro).
Conte, però, non perde mai la sua proverbiale bonomia da avvocato della nazione e si adatta al mutato scenario parlando già come un navigato broker. «Sono molto confidente (da notare l'italianizzazione dell'inglese confident al posto di «fiducioso») che quando i mercati, i nostri interlocutori conosceranno nei dettagli la manovra, lo spread sarà assolutamente coerente con i fondamentali della nostra economia», ha aggiunto. E se si ventila l'ipotesi che il ministro del Tesoro non voglia mettere la propria faccia sull'aberrazione che si prospetta, il presidente del Consiglio minimizza, tranquillizza e rassicura. «Ho letto sui giornali oggi che ieri aveva offerto le sue dimissioni, mi sono incuriosito e stamattina l'ho chiamato: ha negato assolutamente che ci sia stata questa prospettiva», ha spiegato sottolineando che «le dimissioni non sono mai state sul tavolo: il ministro Tria rimarrà, come il governo, fino al 2023». E anche le sopracciglia alzate dei commissari europei Moscovici e Dombrovskis non atterriscono il primo ministro. «Non ho mai pensato di fare una manovra sulla base delle aspettative di un commissario Ue», ha chiosato. «Ovviamente siamo per il massimo dialogo e io non vedo l'ora di poter andare a Bruxelles a illustrare la manovra di cui sono fiero: ridurremo il debito attraverso la crescita», ha aggiunto ribadendo che «l'Italia non è un problema per l'Europa, vuole essere una risorsa».
Ecco, è quanto meno azzardato presentare come «risorsa» un Paese che, sulla base di quel 2,4% di deficit/Pil sta per varare una manovra 2019 lievitata oltre 40 miliardi dei quali 27 in deficit, mentre i 13 miliardi di altre coperture sono ancora incerti in quanto non ci sono le cifre sulla spending review e sulla pace fiscale. Nel conto entreranno 12,4 miliardi per evitare l'aumento dell'Iva, almeno 10 miliardi per il reddito di cittadinanza, circa 7 per «quota 100» per le pensioni, 1,5 miliardi per i risparmiatori delle banche, 1,5 miliardi per la flat tax sugli autonomie e un miliardo per l'Ires. Alle spese indifferibili vanno 3,6 miliardi e 3-4 miliardi ai maggiori interessi sul debito.
In più andranno aumentate le pensioni minime. Chiamare sviluppo l'elargizione di mance è economicamente velleitario in quanto non ci sono investimenti ma solo aumento dei redditi tramite deficit. Conte, però, è un avvocato.
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