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Le mance elettorali di Renzi ci costano quasi 28 miliardi

Dagli 80 euro alla scuola: finora le promesse a pioggia del premier non hanno aiutato il «Sì». Sale solo il debito

Le mance elettorali di Renzi ci costano quasi 28 miliardi

Quasi 28 miliardi di spesa pubblica in più per comperare il consenso e, alle porte, il fallimento della propria scommessa politica. A poco più di due settimane dal referendum il No è in consistente vantaggio nei sondaggi nonostante gli sforzi renziani in questi mille e uno giorni si siano concentrati sulla conquista del favore popolare in vista di questo importante appuntamento.

La sessione di bilancio ci consente di misurare le risorse messe a disposizione di bonus e mance e di cercare di capire dove questa politica neodemocristiana abbia fallito. Ad esempio, si può partire dalla madre di tutte le misure del renzismo: il bonus da 80 euro per i lavoratori dipendenti, confermato anche per 2017. Costa circa 10 miliardi di euro ogni anno e beneficia i redditi fino a 26mila euro annui lordi. Trattandosi di un benefit per redditi bassi, il provvedimento non ha avuto (e non poteva avere) un impatto decisivo.

La capacità di spesa dei percettori è aumentata di poco come testimonia l'andamento dei consumi e, soprattutto, il trend deflazionistico in corso. Ovvio che queste persone non votino in massa per il Sì non avendo osservato un netto miglioramento delle proprie condizioni. La questione degli sgravi per le famiglie (bonus future mamme e bonus asili nido) è la medesima: si tratta di 600 milioni distribuiti in base al reddito. Un sostegno utile, ma che modifica poco la condizione reddituale.

Analogo discorso per le imprese. Il taglio dell'Ires di 3,5 punti percentuali, pur costando 3 miliardi, impatterà su un'economia che continua a soffrire di bassa produttività e di bassa crescita. Nonostante l'incondizionato appoggio di Confindustria, occorre osservare che molte altre categorie produttive - a partire dal commercio preferirebbero che un uguale sforzo si concentrasse sull'Irpef proprio per incidere sulla propensione ai consumi.

Ma le risorse sono limitate e il governo Renzi ha già deciso di spendere 2 miliardi all'anno per le pensioni: una parte per estendere la quattordicesima e un'altra per l'anticipo pensionistico gratuito. Se a questo aggiungiamo i 2 miliardi in più stanziati per il Fondo sanitario nazionale nel 2017 e i 130 milioni per accompagnare all'uscita i bancari tramite il Fondo esuberi, si capisce bene come l'unica categoria soddisfatta di Renzi e pronta a votare Sì siano gli over 65 che appaiono come i più tutelati da queste politiche.

Non va meglio per gli statali che, di certo, non sono rimasti a bocca asciutta. Con la «Buona scuola» si sono garantite assunzioni in massa di docenti precari e di nuovi insegnanti. Il costo è di 3 miliardi ai quali aggiungere gli 1,9 miliardi per il settore pubblico stanziati per il 2017. Tenuto conto che una buona parte è destinata, giustamente, alle esigenze degli organici delle forze dell'Ordine (Vigili del fuoco compresi), per i rinnovi contrattuali fermi da 7 anni rimangono poco meno di 700 milioni, circa 20 euro a testa per dipendente. È chiaro che simili aumenti producono soprattutto insoddisfazione. Un po' come l'abolizione di Imu e Tasi sulla prima casa, che è costata circa 4 miliardi. Chi ha un immobile di proprietà è sollevato, chi ne ha più di uno finisce nelle grinfie dei sindaci che in molti casi si rifanno su quelle ritoccando le aliquote all'insù.

Se la principale preoccupazione degli italiani è il lavoro, poca cosa possono fare misure palliative come il dirottamento di 730 milioni di Fondi europei per una proroga delle decontribuzioni per i neoassunti al Sud. E non sono certo 300 milioni per il bonus da 500 euro per i neodiciottenni che possono cambiare la partita. Renzi sta scoprendo adesso che aumentare deficit e debito per elargire mance non gli giova in chiave referendaria.

Il problema è che a pagare il conto dovremo pensarci un po' tutti, prima o poi.

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