Il manganello di Di Maio: "Metteremo le mani su Mediaset e sulla Rai"

Il leader M5s cavalca un tema caro alla sinistra: "Un politico non può possedere tv"

Il manganello di Di Maio: "Metteremo le mani su Mediaset e sulla Rai"

La bastonata arriva quasi subito. Al termine del secondo colloquio con il presidente della Camera, Roberto Fico, ieri ha approfittato delle dichiarazioni per attaccare Silvio Berlusconi e Mediaset. «Bisogna mettere mano a questo continuo conflitto di interesse che c'è in Italia. Penso ad esempio al fatto che Berlusconi, usando le sue tv e i suoi giornali, continua a mandare velate minacce a Salvini qualora volesse sganciarsi», ha affermato aggiungendo nel suo solito italiano stentato che «dobbiamo ambire a che in Italia l'informazione sia il più libera possibile ed è chiaro che dobbiamo fare qualcosa sulla governance Rai e sulle tv private». La sintesi finale è ancora più raccapricciante. «Un politico non può possedere delle televisioni», ha sentenziato.

L'estraneità di questo attacco gratuito alla materia delle trattative per la formazione di un governo tra M5s e Pd è solo apparente. In primo luogo, vista l'assoluta recalcitranza degli elettorati dei due partiti alla possibilità di coalizzarsi, sbandierare il tema del conflitto di interessi, ossia di un'azione punitiva nei confronti di Silvio Berlusconi e di Fininvest (che tramite Mondadori è azionista di minoranza del Giornale, ndr) può «emozionare» tutti coloro che votano sinistra e grillini anche allo scopo di danneggiare il Cav sotto tutti i punti di vista. «È una questione molto sentita a sinistra, è un modo per dire che su molte cose siamo uguali», è il messaggio che viene fatto successivamente trapelare da autorevoli fonti pentastellate. Sostituire al garantismo della legge Frattini un provvedimento per ostracizzare definitivamente il Cavaliere dalla vita politica è sempre stato un must dell'ala bersaniana (l'ex segretario lo accennò nel tragicomico streaming con il duo Lombardi-Crimi) e un caposaldo grillino sin dall'arrivo in Parlamento.

I pentastellati non sono però ingenui e si sono affrettati a sottolineare che non si tratta né «di un attacco a Mediaset» né di «un'apertura a Salvini», ma di una «difesa della libertà, perché «forse qualcuno non può fare scelte libere...». Un'allusione agli avvicendamenti nel palinsesto che hanno determinato la chiusura di alcuni programmi i cui ascolti erano in calo, ma che avevano un'impronta «populista». Va da sé che queste presunte affettuosità verso Salvini lascino trasparire l'intenzione di non chiudere il dialogo.

Anche tacendo sull'autolesionismo di un governo che nascerebbe per azzoppare una multinazionale italiana dell'entertainment, occorre tuttavia precisare che per scagliare la prima pietra bisogna essere senza peccato. «Il Movimento Cinque stelle è posseduto da un'azienda privata, da una srl, che appartiene a un protagonista della comunicazione che non si è mai fatto votare e le cui finalità sono a me abbastanza sconosciute», ha replicato Silvio Berlusconi lamentando che «toccare l'avversario sulla libertà privata e sul patrimonio è cosa da anni '70, da esproprio proletario».

La srl in questione è la Casaleggio Associati guidata da Davide Casaleggio. Lo statuto di M5S impone al partito di appoggiarsi alla piattaforma Rousseau gestita dall'Associazione Rousseau che altri non è che Davide Casaleggio e a cui gli eletti pentastellati si sono impegnati a versare 300 euro ogni mese. Anche questo è un conflitto di interessi bello e buono, ma probabilmente non sarebbe toccato da una nuova legge.

La sortita, inoltre, non è piaciuta nemmeno all'ala renziana del Pd. «Di Maio vuole mettere già le mani sulla Rai e non è ancora al governo. Obiettivo è nominare Rocco Casalino direttore generale?», ha commentato Michele Anzaldi.

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