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Mani pulite, ecco il trucco dei pm del pool di Milano per arrestare più indagati

Durante l'inchiesta Mani Pulite, le regole di assegnazione dei fascicoli nel tribunale di Milano vennero sistematicamente aggirate per garantire alla Procura di poter contare sempre e soltanto su un unico giudice

Mani pulite, ecco il trucco dei pm del pool di Milano per arrestare più indagati

Durante l'inchiesta Mani Pulite, le regole di assegnazione dei fascicoli nel tribunale di Milano vennero sistematicamente aggirate per garantire alla Procura di poter contare sempre e soltanto su un unico giudice, pronto ad accogliere con rapidità fulminea tutte le richieste di cattura spiccate dal pool: un sistema che ora viene descritto con dovizia di particolari da un magistrato che nei mesi ruggenti del 1992 lavorava nell'ufficio da cui gli ordini di arresto venivano sfornati quotidianamente.

Settimo piano del Palazzo di giustizia, ufficio del giudice per le indagini preliminari, quello cui tocca firmare o negare gli arresti. Per garantire l'imparzialità dei gip, la norma prevede l'assegnazione automatica dei fascicoli in base ai turni prestabiliti. Cosa accadeva, invece, durante Mani Pulite? Scrive il giudice Guido Salvini, tuttora gip a Milano: «Era comodo per la Procura avere un unico gip già sperimentato, per alcuni già direzionato, e non doversi confrontare con una varietà di posizioni e di scelte che potevano incontrare all'interno dell'ufficio gip, formato da una ventina di magistrati. Andava evitata e prevenuta una possibile variabilità di decisioni dei giudici che potesse in qualche modo creare difficoltà alle indagini (...) così il pool escogitò un semplice ma efficace trucco costituendo, a partire dall'arresto di Mario Chiesa, un fascicolo che in realtà non era tale ma era un registro che riguardava centinaia e centinaia di indagati che nemmeno si conoscevano tra loro e vicende tra loro completamente diverse unificate solo dall'essere da gestite dal pool».

Titolare del mega-fascicolo, che portava il numero 8566/92, era il giudice Italo Ghitti. Tutte, nessuna esclusa, le richieste del pool Mani Pulite arrivavano così a Ghitti, con la certezza di venire accolte nel giro di poche ore, alimentando la spirale delle confessioni a catena. «Questo espediente dell'unico numero - scrive Salvini - impediva la rotazione e consentiva di mantenere quell'unico gip iniziale, Italo Ghitti, che evidentemente soddisfaceva le aspettative del pool». Una sola volta, per una sorta di svista, una richiesta di manette firmata dal pool arrivò sulla scrivania di Salvini, che era il giudice competente per turno. Ma «nel giro di pochi giorni, prima ancora che potessi decidere, il fascicolo mi fu sottratto senza tanti complimenti e passò al gip Ghitti». Bisognava evitare che «qualsiasi altro gip dell'ufficio interferisse nella macchina di Mani pulite. Questa abnormità fu più che tollerata, e tollerata forse è dir poco, dai capi dell'ufficio».

Contro la sottrazione del fascicolo, Salvini scrisse invano al suo capo, Mario Blandini. Mani Pulite continuò a macinare arresti. Blandini venne promosso procuratore generale.

Ghitti venne eletto al Consiglio superiore della magistratura.

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