Manovra scritta a Bruxelles E Conte supplica la Merkel

Il Senato è paralizzato in attesa delle decisioni dell'Ue Il premier cerca la sponda tedesca. Tria sotto torchio

Manovra scritta a Bruxelles E Conte supplica la Merkel

La legge di Bilancio, di fatto, si sta scrivendo fuori dal Parlamento e fuori dall'Italia, cioè a Bruxelles dove ieri il premier Conte e il ministro dell'economia, Giovanni Tria, hanno continuato le trattative a oltranza con la Commissione Ue. Il capo del governo ha cercato una sponda politica incontrando ieri mattina la cancelliera Angela Merkel alla quale ha fatto presente la disponibilità italiana a modificare i saldi della manovra. «L'incontro è andato bene», ha detto Conte, mentre la Bundeskanzlerin, al termine del Consiglio europeo, ha spiegato di aver «salutato con favore che l'Italia stia dialogando con la Commissione, ma per quanto riguarda la valutazione sulla manovra italiana mi attengo alla Commissione». Merkel ha precisato che Conte le ha illustrato «le riforme strutturali che l'Italia intende mettere in atto ma, ribadisco, sta alla Commissione valutare la manovra».

Merkel, infatti, poterebbe paradossalmente rappresentare la migliore alleata dell'Italia e il premier ha cercato di utilizzare la moral suasion delle pressioni populiste in vista delle elezioni europee per cercare di strappare qualche concessione. Non è solo Macron a essere alle prese con i gilets jaunes, anche in Germania infatti la leadership della Cdu è scossa dai sovranisti di Alternativ für Deutschland. In particolare, il presidente del Consiglio ha fatto presente che intende usare le annunciate riforme della giustizia civile e gli investimenti contro il dissesto idrogeologico per spuntare qualche decimale di flessibilità e chiudere la partita. Ma la strada è tutta in salita.

«Il saldo è quello, non abbiamo altri margini. Noi vorremmo che l'intera Ue si facesse carico dei due progetti riformatori» su dissesto e giustizia civile e penale, «dal nostro punto di vista ci sono margini di manovra», ha ribadito Conte in conferenza stampa dopo il Consiglio Ue escludendo un ulteriore abbassamento del deficit/Pil sotto l'asticella del 2,04 per cento. «L'Italia non è col cappello in mano, le riforme sono quelle che abbiamo pensato non abbiamo nulla di cui scusarci, anzi abbiamo intercettato una sensibilità sociale diffusa in Europa e stiamo rispondendo alle urgenze avvertite dai cittadini, anche in altri Paesi: l'Italia è qui a testa alta, non siamo al mercato».

La situazione, purtroppo, è diversa. Lo dimostra il fatto che il ministro dell'economia, Giovanni Tria, abbia trascorso tutto il giorno a cercare di smussare gli angoli sottoponendosi alla quotidiana «tortura» dei commissari economici Moscovici e Dombrovskis, accompagnato dal direttore generale del Tesoro, Alessandro Rivera che resterà a Bruxelles anche nel weekend. I conti non tornano perché anche togliendo un paio di miliardi da quota 100 grazie alle finestre ritardate di tre mesi (di sei per i dipendenti pubblici), i due miliardi reperiti in quel modo non sono sufficienti. Rivera aveva anticipato l'intenzione di aumentare la quota di dismissioni immobiliari attualmente cifrate all'1% del Pil (17 miliardi nel 2019 ma con l'intervento di Cdp potrebbero aumentare). Ci vorrebbe anche qualcosa dal fronte del reddito di cittadinanza per arrivare a 7 miliardi di tagli ma il vicepremier Luigi Di Maio è stato categorico. Il risultato? La commissione Bilancio del Senato è stata convocata solo ieri sera per l'esame degli emendamenti alla manovra.

«Forse saremo costretti a portare» le modifiche direttamente in Aula», ha concluso Conte. Il capogruppo al Senato di Fi, Anna Maria Bernini, riferendosi all'intransigente Di Maio ha avuto buon gioco nell'affermare che «il governo dovrà fare 7 miliardi di passi indietro».

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