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Marco Travaglio, paladino di Giuseppi Conte e del Partito 5 Stelle

Il direttore del Fatto ha malcelate simpatie per il capo politico del M5S. Ma chi rischia di fare il Don Chisciotte, considerati i precedenti, è più l'ex premier

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Marco Travaglio fa di tutto per spacciarsi come un giornalista super partes ma qualche passione politica l'ha avuta eccome. E ce l'ha tuttora. La più recente è Giuseppe Conte, ex premier giallorosso e gialloverde, che è stato eletto a simbolo del travaglismo ideologico.

Il direttore de Il Fatto Quotidiano ha fatto davvero poco per nascondere la sua simpatia: "I segreti del Conticidio. Il 'golpe buono' e il 'governo dei migliori'" è una fatica giornalistica che sa di vedovanza. Dalla rovinosa caduta del Conte bis è, con ogni probabilità, scaturito il noto "Draghi figlio di papà" che "non capisce un c***o". Un veleno da considerarsi ingiustificato, a meno che non si ipotizzi una cattiva digestione della sostituzione a Palazzo Chigi in corso di legislatura.

Capiamoci: il direttore torinese non dev'essere percepito come lo spin doctor dell'ex presidente del Consiglio ma che Travaglio preferisca Giuseppe Conte all'attuale premier traspare più o meno in ogni occasione televisiva. Conte, che dice di aver rivoluzionato linguaggio e stile grillino, è lo stesso che ha provato ad alzare le barricate per difendere la riforma targata Alfonso Bonafede, vero caposaldo del giustizialismo caro a certa stampa. C'è da essere comprensivi, quindi, in specie mentre le riforme Cartabia, peraltro sostenute anche dal MoVimento 5 Stelle, procedono nel relegare nel cassetto del dimenticatoio l'impostazione del fine pena mai e le velleità dell'ex ministro della Giustizia. L'avvocato orginario di Volturara Appula, per la sinistra manettara, è più "vorrei ma non posso" che altro, ma tanto basta ad alimentare una speranza.

Dopo lo spassionato sostegno offerto durante il doppio soggiorno di Conte a Palazzo Chigi, il rapporto tra i due è emerso con grande franchezza con una smentita: Il Fatto Quotidiano ha fatto dire all'ex avvocato degli italiani "O si cambia o leviamo la fiducia". Forse è l'atteggiamento che Travaglio vorrebbe che Conte avesse, ma il secondo è molto meno gladiatoreo di così. La passione per Conte di Travaglio si infrange spesso sul muro della realtà, con l'ex premier rivelatosi, per dirla alla Beppe Grillo, più "specialista del penultimatum" che leader senza macchia di una sinistra maldiposta a cedere centimetri. L'attuale vertice del MoVimento 5 Stelle è più un mediatore che una falange anti-sistemica: questo il direttore torinese lo dovrebbe sapere. Ma ormai la conversione pentastellata è compiuta ed il giurista pugliese non può essere abbandonato mentre la gara si svolge.

La crisi del consenso grillino è certificata. Le piazze del "vaffa" un lontano ricordo. Le cinque stelle del programma iniziale sono una chimera. I toni giacobini restano ma servono più a carezzare l'elettorato rimasto che ai tatticismi in Parlamento, dove il MoVimento ha operato una normalizzazione, finendo persino per accettare la ricezione del 2x1000. I pentastellati sono un partito come un altro ma lo spazio politico impone che i loro ideologi, Travaglio compreso, non mollino l'ancora proprio adesso. Se non altro perché, nonostante un'alternativa inizi ad esistere, la suggestione che Conte possa tornare a Palazzo Chigi - un'utopia del tutto infondata - può risultare più forte. Ma a ben vedere il motivo del mancato abbandono dopo il fallimento è soprattutto un altro: il Quirinale.

Conte non è il primo. Prima del professore universitario, è stata la volta di Antonio Di Pietro, di Luigi De Magistris e di Antonio Ingroia: tutti "leader" su cui è stata riposta una fiducia tanto spassionata quanto destinata al naufragio imminente. Travaglio li seleziona e poi loro affondano: è una costante. Stesso destino cui è già andato incontro Giuseppe Conte da Volturara Appula. Però ora c'è la partita del Colle. L'ex presidente del Consiglio non controlla i gruppi parlamentari grillini ma qualche voto sì. E siccome lo spettro di una maggioranza tra le mani del centrodestra aleggia con tutta evidenza, una difesa d'ufficio va garantita. Poi verrà il tempo della prossima passione politica, dunque del prossimo schianto. Non è Travaglio il Don Chischiotte della Mancia ma chi sposa il travaglismo finisce per diventarlo. Il direttore del Fatto Quotidiano troverà un altro Conte, mentre i mulini a vento sono già la meta dell'"campione dei progressisti" già passato dal sovranismo.

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