Marino vuole fare causa al Pd e guida la fronda dem del No

L'ex sindaco pensa alla guerra giudiziaria dopo la cacciata. E "scende in campo" con l'amico D'Alema

Marino vuole fare causa al Pd e guida la fronda dem del No

Roma - Vendetta, tremenda vendetta: ora che è uscito indenne dalla bufera della solita inchiesta giudiziaria finita in nulla, Ignazio Marino medita orribili contrappassi per il Pd, che lo ha brutalmente scaricato approfittando dello scandalo scontrini.

E così, dopo una conversazione con Massimo D'Alema (suo «scopritore» e promotore in politica e «un vero amico», come dice Ignazio), l'ex sindaco annuncia di voler prendere, al grido di «a morte Renzi», la testa della campagna contro la riforma costituzionale. Girerà l'Italia per sostenere il No, «ho già inviti in 20 città», confida orgoglioso, e chissà quanti altri gliene procurerà l'amico Massimo, unito ancor più a lui, oggi, dal comune odio per il premier e dalla tentazione di fare del defenestrato chirurgo un boomerang da scagliare contro Palazzo Chigi. Addirittura, l'ex sindaco non esclude di muovere guerra al suo (ex) partito anche sul piano economico e giudiziario: «Ogni cosa a suo tempo», risponde a chi gli domanda se voglia chiedere un risarcimento danni al Pd.

In realtà, quel che l'ex primo cittadino non perdona a Matteo Renzi e ai suoi è di averlo scaricato (cavalcando la vicenda scontrini) con l'accusa di non saper fare il sindaco. E di ripeterlo ancora oggi, nonostante la magistratura lo abbia assolto dalle accuse di malversazione: «Un pessimo sindaco - scandisce perfido il renziano Dario Parrin - non diventa un buon governante per il solo fatto, del quale beninteso ci rallegriamo, di essere stato assolto in un procedimento penale. Né un'assoluzione rende sensate le castronerie che dice in materia di riforme costituzionali. Non si vendica un'infamia con una mistificazione». Niente da fare: Marino dice di «sentire il dover di impegnarmi per il mio Paese», e assicura esaltato che «la mia vicenda la stanno seguendo da tutto il pianeta». Perfino da Testaccio - quartiere ex popolare e ora shabby-chic di Roma - dove un paio di dalemian-bersaniani (uno dei due, Stefano Di Traglia, era portavoce di Bersani quando era segretario del partito) annunciano di aver fondato un «comitato democratici per il no».

Intanto Marco Causi, deputato Pd che fu vice sindaco di Marino nel momento di massima emergenza della giunta romana, mentre scoppiava lo scandalo di Mafia Capitale, ricorda - anche all'ex sindaco - il contesto in cui maturò la resa dei conti tra lui e il Pd, e la sua successiva defenestrazione: uno «scenario drammatico», in cui sul Campidoglio pendeva la spada di Damocle dello scioglimento per mafia mentre il Campidoglio annaspava: «Quello tra Marino e il Pd fu uno scontro politico, non sulle spese di rappresentanza», accusa che peraltro sarebbe arrivata più tardi (e di cui il Pd approfittò, dopo mesi di tensioni, per dare il colpo di grazia al primo cittadino). L'errore dell'ex sindaco, dice Causi, «fu di interpretare tutti gli avvenimenti che gli si rovesciavano addosso come una congiura nei suoi confronti. Marino non ha voluto condividere una riflessione politica autocritica sull'impreparazione con cui lui e l'intero centrosinistra sono tornati al governo del Campidoglio». E mentre la sua giunta era nel marasma, Marino sceglieva «il vittimismo e accusava il Pd di non aiutarlo». La sua assoluzione per la vicenda delle spese di rappresentanza, conclude l'esponente Pd, «è una buona notizia, ma ha poco a che fare con la conclusione negativa di quell'esperienza di governo romano. Tanti errori sono stati fatti e forse è arrivato il momento che anche Ignazio Marino, grazie alla serenità riconquistata da ieri, riconosca i suoi». Ma l'ex sindaco è di tutt'altra opinione.

E, oltre al sostegno di D'Alema, trova anche la solidarietà - non si sa quanto confortante - dell'indagata assessora della giunta Raggi, Paola Muraro: «Non farò la fine di Marino - promette - perché lui non fu appoggiato dal Pd, mentre il M5s mi sta difendendo».

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