In prigione sì, ma in regime di semilibertà. È stato il Tribunale di sorveglianza di Firenze a decidere che Alessandro Albertoni e Luca Vanneschi potranno trascorrere parte della giornata fuori dal carcere per scontare la condanna a tre anni ricevuta un anno fa in Cassazione per tentata violenza sessuale su Martina Rossi, la studentessa genovese morta a 20 anni il 3 agosto 2011 precipitando dalla terrazza del sesto piano di un hotel di Palma di Maiorca, dove era in vacanza, mentre cercava di fuggire a un tentativo di stupro dei due giovani aretini che alloggiavano nello stesso albergo. I due trentenni di Castiglion Fibocchi si sono costituiti due giorni fa nel carcere di Arezzo, dopo che il provvedimento di esecuzione della condanna era diventato definitivo.
La decisione dei supremi giudici non è piaciuta al papà di Martina, Bruno Rossi, che ora vuole battersi per cambiare le leggi che permettono di ottenere certi benefici. Era stato lui, insieme alla moglie, a far riaprire il caso in Italia dopo che le autorità spagnole lo avevano chiuso escludendo responsabilità di terzi. Ed erano stati sempre i due genitori a sollecitare il Tribunale di Sorveglianza e la Procura generale di Firenze a prendere una decisione che tardava ad arrivare dopo che il Pg aveva rifiutato la messa in prova ai servizi sociali chiesta dai due imputati. «La semilibertà concessa agli assassini di mia figlia è un mezzo premio non meritato. Sarei stato più felice se fossero rimasti in carcere e mi chiedo: quali lavori potranno fare? Uno correva in moto, l'altro non mi risulta abbia mai lavorato», si è sfogato Rossi. «Sono profondamente rattristato - ha aggiunto il papà della studentessa - ma almeno non hanno avuto i lavori di pubblica utilità, anche perché non hanno fatto niente per meritarselo. Comunque, sapendo che dovranno stare in carcere, ho potuto dare una fine ad una lotta di undici anni. E quando guardo la foto di Martina alla sera ora sono più sereno e più tranquillo e le dico almeno in prigione ci sono entrati».
Albertoni, eccellente sportivo nella disciplina del motocross, e Vanneschi, artigiano, hanno sempre negato con decisione l'accusa. Nel processo i loro avvocati hanno sostenuto che non c'erano elementi per attribuire ai due giovani responsabilità penali. Ma i giudici hanno escluso le ipotesi alternative del suicidio o del fatto accidentale.
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