Sana è una martire della libertà. La sua unica «colpa» era l'amore per un ragazzo italiano, che voleva sposare perfettamente ambientata nella vita di casa nostra a Brescia. La sua famiglia, però, aveva già organizzato, come da tradizione benedetta dall'Islam, un matrimonio combinato in Pakistan. Padre e fratelli l'avevano attratta con un sotterfugio in patria, ma lei si è giustamente ribellata. Un oltraggio all'onore retrivo, medioevale e fondamentalista di un mondo agli antipodi del nostro. Sana Cheema, italo pachistana, è morta, a soli 25 anni, probabilmente strangolata dai suoi familiari. Il padre finito in manette sembrava aver vuotato il sacco, ma poi qualcosa è andato storto. Ieri è arrivata la notizia che il genitore padrone, se non boia e gli 11 parenti coinvolti nella vicenda sono stati tutti bellamente assolti. Non c'erano prove sufficienti hanno detto i giudici. Il pesante sospetto è che l'omertà, la connivenza delle autorità, la mentalità arcaica siano serviti a tirare un colpo di spugna sul peggiore dei delitti d'onore contro il sangue del tuo sangue, carne della tua carne. La giovane Sana, che amava il nostre paese, dove si sentiva libera e integrata si era ribellata alle imposizioni islamiche rifiutando il velo e le pratiche bigotte dell'Islam. E ha trovato la forza di opporsi a usi e costumi, come il matrimonio forzato che trova giustificazione da parte dei soliti predicatori del Corano.
Dopo la vergognosa assoluzione dei suoi padroni o carnefici bisogna chiedersi quante ragazze libere che vivono da noi pachistane, di altri paesi islamici o indiane, dove le nozze combinate vanno per la maggiore anche fra i non musulmani, sono costrette a sposare un marito imposto? Sana ha detto no ed è morta. Aiutiamo le altre, in nome della libertà.
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