Vabbè, per una volta lasciamo perdere il protocollo. Emmanuel Macron l'ha abbracciato davanti a tutti, come si fa con un vecchio amico, come un padre «su cui si può sempre contare». Il principe Carlo gli si e piazzato accanto per una foto ricordo. Joe Biden invece l'ha voluto vedere da solo, prima della cena di gala, e in qualche modo gli ha chiesto di restare sul Colle. Mi piacerebbe davvero, questo più o meno il senso delle parole del presidente americano, con te si lavora bene. E dopo, alla fine del ricevimento nel Salone delle Feste, gli ha messo una mano sulla spalla e ha rimarcato il concetto: «Good speach Sergio, very well». Hai centrato il punto, i problemi del mondo vanno affrontati tutti uniti.
Mattarella ha sorriso e non ha risposto, perché quello che doveva dire sul bis l'ha detto in diverse occasioni, pure in pubblico: «Questa è una Repubblica, non una monarchia». E quindi, salvo sorprese improbabili, lascerà il Quirinale a febbraio, quando scadrà il suo mandato. Lo si è capito anche dal tono del discorso agli ospiti del G20, un appello ai Grandi perché si impegnino davvero per salvare il pianeta. Una specie di lascito politico, un richiamo alle «responsabilità collettive» prima del congedo dalla scena internazionale. «Negli ultimi anni lo spirito che aveva animato stagioni ricche di fiducia è andato affievolendosi. La governance globale si è indebolita e i risultati sono sotto gli occhi di tutti». C'è pessimismo, c'è la paura di «consegnare a chi verrà dopo di noi una Terra solcata dai conflitti, con le risorse dilapidate e l'ecosistema compromesso dall'egoismo di chi è incapace di coniugare crescita e tutela». Insomma, «non possiamo evadere dal fornire risposte, lo dobbiamo alle giovani generazioni».
Un discorso «alto», che chiude idealmente il cerchio del settennato. Il capo dello Stato ha altri viaggi in agenda, altre occasioni di intervento prima di Capodanno, quando parlerà alla nazione per l'ultima volta. Ma questa davanti ai Grandi del G20 è stata quasi una cerimonia d'addio ai leader mondiali. L'immagine che resta è quella del presidente in attesa con Mario Draghi in cima allo scalone, davanti al corazzieri in alta uniforme, mentre gli ospiti salivano, salutavano, lo omaggiavano e si mettevano in posa per la foto di rito. Due battute con tutti, quattro con Boris Johnson che cercava di elencare a memoria i nomi dei sette colli ma gliene mancava sempre uno.
Mattarella è al Quirinale dal 2014, ha attraversato e domato crisi a ripetizione, di ogni tipo, per lunghi periodi è rimasto l'unico punto di riferimento sicuro per le cancellerie europee e Washington. Sette anni, ma sono sembrati settanta. A Palazzo Chigi c'era Matteo Renzi, poi è arrivato Paolo Gentiloni, fino al big bang del 2018, con il trionfo dei Cinque Stelle e il lungo rompicapo per mettere in piedi un governo, il Conte uno, giallo verde. Ed è in quel momento che il suo ruolo è cresciuto, il suo peso all'estero aumentato: il Colle come diga anti sovranista e antipopulista, garante degli impegni internazionali.
Un anno e via la Lega, dentro la sinistra nel Conte due, un altro difficile lavoro di incastro.
Poi la pandemia, i morti, le bare di Bergamo sui camion dell'esercito, il Paese allo sbando. «Mattarella ultimo baluardo», hanno scritto i giornali di mezzo mondo. Con Draghi il capolavoro: l'Italia si è vaccinata e si è ripresa. «Ma perché vuole lasciare?», si chiedono ora in giro per l'Europa.
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