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Matteo nella bufera per i salamelecchi al tiranno

Conferenza (a pagamento) in lode del "grande" principe saudita accusato di omicidi

Matteo nella bufera per i salamelecchi al tiranno

Diversivi e null'altro. Diversivi usati da chi vuole impedirgli di guidare l'Italia aiutandola, sotto la sua illuminata guida, a investire al meglio i 209 milioni del Recovery Fund europeo. A questo punta - sostiene Matteo Renzi in un video su Facebook (nella foto un frame) - chi lo rimprovera d'elogiare il «grande» amico Mohammed Bin Salman, il principe ereditario saudita accusato di far sparire i nemici all'estero e di far rotolare le teste degli oppositori. Come dargli torto. Per Matteo Renzi - lo sanno tutti - la democrazia è sacra. Non a caso, il 13 gennaio, la citò almeno dieci volte per spiegare il suo addio al governo. Sottolineando che non è un «reality show», va rispettata nelle sue «forme» e realizzata con adeguate «liturgie».

Peccato che per Renzi, forme e liturgie siano come le usanze. Cambiano a seconda del paese. Così arrivato in Arabia Saudita e accomodatosi di fronte a Mohammed Bin Salman non ha potuto far a meno di chiamarlo «grande» principe. Certo, a volte, i complimenti sono obbligati. Soprattutto davanti al titolare di una reale fondazione (la Future Investment Initiative Institute) che ogni anno ti versa 80mila dollaroni in cambio di discorsi a comando. Ma quel «grande» - diciamolo - lascia un po' sgomenti. Soprattutto perché riferito a un principe accusato di aver spedito a Istanbul i sicari incaricati di fare a pezzi il giornalista-oppositore Jamal Khashoggi dopo averlo attirato con un pretesto nel consolato saudita. Ma fa altrettanta impressione sentirgli accostare la parola «rinascimento» ad un regno wahabita simbolo dell'oscurantismo islamista. Un paese dove, come nel Califfato dell'Isis, le decapitazioni si svolgono in piazza. E dove il 23 aprile 2019 il «grande» principe Bin Salman fece rotolare, in un solo giorno, le teste di 37 oppositori costretti a confessare, sotto tortura, la partecipazione ad atti di terrorismo. Un'esecuzione di massa senza precedenti persino per un regno dove si contano 150 decapitazioni all'anno e dove all'ascia del boia può venir preferita la lapidazione. O una crocifissione con taglio di testa finale. Volgari diversivi per un Renzi pronto, nel nobile tentativo di salvare l'Italia, a ignorare anche i cinque minori in attesa del boia per reati commessi quando avevano tra i cinque e i 17 anni. E altrettanto «diversivo» è ricordargli la castroneria finale ovvero l'elogio dell'assai contenuto costo del lavoro in un paese dove la gran parte dei sudditi non alza un dito. E se lavora incassa una media di 1300 dollari al mese a fronte dei 250 pagati a quei lavoratori asiatici e africani costretti - per la legge della «kafala»- a consegnare i passaporti a dei datori di lavoro pronti a trattarli come schiavi. Ma più gravi delle castronerie umanitarie sono le sottovalutazioni politiche. Un leader convinto di essere il salvatore dell'Italia e di meritare la carica di premier o, in alternativa, quella di segretario generale della Nato non può ignorare le mosse con cui Joe Biden e il Parlamento Ue hanno preso le distanze dal «grande» amico principe. Mentre Renzi parla di «diversivi» il presidente Usa, che già in campagna elettorale definì l'Arabia Saudita «paese paria» («inavvicinabile») ha già congelato la vendita di bombe promesse a Riad. L'Europarlamento si è, invece, espresso ad ottobre votando la mozione con cui invitava i vertici europei a disertare il G20 saudita e ricordava le esecuzioni, le condanne di minori, le persecuzioni degli oppositori, il mancato rispetto delle donne e i bombardamenti dello Yemen. Semplici «diversivi» nei pensieri di Matteo.

Vittime in carne ed ossa nella realtà dominata dal suo «grande» amico Mohammed Bin Salman.

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