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Prima le dimissioni: ecco il piano che fa paura a Palazzo Chigi

Conte e il Pd temono la volubilità di Renzi dopo l'apertura ufficiale della crisi. Per i responsabili si prospetta l'ipotesi di un nuovo gruppo parlamentare

Prima le dimissioni: ecco il piano che fa paura a Palazzo Chigi

La partita di Palazzo Chigi si potrebbe chiudere già questo weekend ma il modo in cui verrà risolto l'attuale stallo è ancora in divenire. Giuseppe Conte non si fida di Matteo Renzi e con il post di ieri gli ha voluto lanciare un forte messaggio. Il presidente del Consiglio si appella alla responsabilità e continua a cercare in Senato i voti per sostituire eventualmente quelli di Italia Viva. Dal canto suo, Matteo Renzi ha riconosciuto all'esecutivo di aver modificato la bozza del Recovery Plan sulla base delle indicazioni del suo partito ma le considera ancora solo parole al vento e finché non ci saranno i fatti non intende cedere.

Matteo Renzi, e buona parte del Pd, puntano alla salita al Colle. Vogliono le dimissioni formali di Giuseppe Conte, perché solo così potranno avere in mano il pallino e ottenere il massimo potere quando ci sarà da fare la lista del nuovo esecutivo e il programma. Goffredo Bettini e Andrea Orlando sono i due mediatori di questa grande partita e fanno da ponte tra le parti, muovendosi su tutti i livelli per trovare la quadra ideale. "Conte non vuole pronunciare la parola dimissioni finché Renzi non pronuncia ad un tg la parola 'Conte ter''", avrebbe detto uno dei due secondo quanto riportato dalla Stampa. Ma per il momento il leader di Italia Viva non è disposto a esporsi in quel senso, anzi. Ieri ha rilasciato un'intervista al Tg3 nella quale ha riconosciuto il lavoro sulla bozza del Recovery Plan ma ha anche lasciato aperte le porte per l'eventualità di un nuovo premier.

Pd e Conte sono sul chi va là. I dem temono che Iv stia tramando per la formazione di un governo di larghe intese che coinvolga anche una parte del centrodestra ma faccia fuori il Movimento 5 Stelle. Dall'altra, Giuseppe Conte teme che dopo il passaggio al Colle, Renzi possa fargli mancare l'appoggio alle consultazioni, decretandone di fatto la fine. Ecco perché il lavoro di ricerca dei responsabili, che ha visto l'abboccamento anche di alcuni senatori di Italia Viva, non si è mai fermato: Giuseppe Conte preferisce portare avanti l'idea del rimpasto, senza passare per le dimissioni e il Colle. Ma Matteo Renzi non ci sta e mantiene il punto: nella chat con i parlamentari ha già scandito la tabella di marcia dei prossimi giorni. "Abbiamo 24 ore per dire la nostra a Gualtieri, sappiamo che la nuova bozza è molto modificata sulla base delle nostre richieste. Ma aspettiamo i fatti", avrebbe detto il leader di Italia Viva.

Per Renzi, i fatti sarebbero anche le discussione sugli altri punti presentati da Italia Viva, oltre al Recovery Plan. Giuseppe Conte non ha fatto cenno al Mes e alla giustizia, due punti che se non risolti potrebbero far saltare qualunque possibile accordo. Ma la richiesta di una ulteriore discussione è strategica per Renzi, che ora sta cercando di prendere tempo per logorare la maggioranza e massimizzare il risultato. Un'attesa che, però, fa gioco anche a Giuseppe Conte, che aspetta il passo falso del leader di Italia Viva per vederlo uscire allo scoperto con le sue reali intenzioni. È una partita a scacchi. La mossa di ieri di Conte, che si è aperto al dialogo e ha tolto ogni alibi a Renzi, attende la contromossa di Italia Viva.

Giuseppe Conte è pronto a trattare sulla delega ai servizi e a concedere al Pd la nomina del prossimo capo del Dis ma anche a cedere un altro ministero a Italia Viva. Nel caso in cui il muro di Renzi non si abbattesse nemmeno in questo modo, allora il presidente del Consiglio si trova costretto a fare il passaggio in Parlamento e a quel punto gli potrebbero tornare utili i voti dei responsabili che con tanto affanno sta cercando tra i senatori. Questa strategia, però, non convince nessuno, né il Pd e nemmeno il Colle. Inoltre, la maggioranza sa che con i voti raccattati ilrischio è quello di scivolare a ogni piè sospinto. "Non la bruciamo ma non la sponsorizziamo", avrebbe detto una fonte autorevole. Nel caso in cui questa ipotesi dovesse prendere forma concretamente, allora Sergio Mattarella potrebbe porre la stessa condizione posta nel 2018, quando riferì al centrodestra che avrebbe concesso un nuovo incarico solo se i responsabili di allora si fossero costituiti in un gruppo parlamentare, uscendo pertanto alla luce del sole.

E con Conte potrebbe ripetersi lo stesso spartito.

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