Gaia Cesare
Meno tre al precipizio del no deal - un rischio che il Regno Unito formalmente corre ancora senza accordo con la Ue - e Theresa May si muove per convincere i due Big d'Europa che la sua richiesta di posticipare l'addio al 30 giugno può e merita di essere accolta. Domani il Consiglio europeo d'emergenza sulla Brexit dovrà decidere se sarà pollice all'insù o pollice verso alla domanda di Londra. Perciò, dopo un giro di telefonate con il presidente della Commissione Ue Jean-Claude Juncker e il presidente del Consiglio europeo Donald Tusk ieri, la premier sarà oggi a Berlino e Parigi per spiegare ad Angela Merkel e al più riottoso Emmanuel Macron, che un'estensione breve dell'articolo 50 può funzionare adesso che il dialogo con l'opposizione laburista è stato avviato e potrebbe garantire una maggioranza in Parlamento.
Nonostante lo stallo del fine settimana e le dichiarazioni contrastanti, l'accordo con il Labour di Jeremy Corbyn potrebbe ancora arrivare, basato su tre princìpi sui quali c'è accordo: rispettare l'esito del referendum del 2016, lasciare la Ue con un'intesa per evitare il no deal (come peraltro vuole Westminster) e mettere fine alla libera circolazione delle persone, caposaldo della Ue ma anche questione che ha spinto i britannici a votare a favore della Brexit tre anni fa. Il nodo più controverso ma centrale dell'intesa potrebbe riguardare invece la permanenza nell'unione doganale, su cui Corbyn spinge e May potrebbe cedere dopo averla indicata come linea rossa, finora invalicabile, a causa della contrarietà dei duri del suo partito. Se ci fosse, risolverebbe finalmente la questione del confine irlandese, ancora il nodo più ostico, tanto che la Ue ha fatto sapere che, in caso di no deal, i negoziati sul commercio non partiranno finché non si risolverà il problema.
Con un accordo sulla permanenza nell'unione doganale si andrebbe verso una soft Brexit ma pur sempre una Brexit. Per portarla a compimento, bisognerebbe cambiare la dichiarazione politica, la parte relativa alle relazioni future. Ipotesi verso la quale spinge il capo negoziatore europeo sulla Brexit, Michel Barnier, che come la cancelliera Merkel, ieri era a Dublino dal premier irlandese Leo Varadkar: la Ue è pronta a includere in «modo estremamente rapido» l'unione doganale nel testo di 26 pagine, «che è la sola cosa negoziabile». Secondo un memo trapelato in queste ore, la Ue sarebbe pronta a un rinvio breve se l'accordo passasse in Aula in settimana (improbabile), entro il 12 aprile fissato per l'uscita («ma serve capire su quali basi», precisa il premier olandese Mark Rutte), altrimenti Bruxelles proporrà a Londra un posticipo lungo, di 9-12 mesi (la linea Macron).
Theresa May ha diffuso domenica un video sui social, rilassata dal divano dei Chequers, la residenza di campagna, in cui ha spiegato che quando gli inglesi hanno votato per la Brexit «non hanno votato per il programma di un partito» e che «la gente forse vorrebbe che i politici lavorassero insieme più spesso». Se si trovasse l'intesa con l'opposizione, l'accordo May-Ue potrebbe passare magari con l'impegno collaterale di Londra - così spera la premier - di lasciare prima del 30 giugno, vigilia dell'insediamento dell'Europarlamento, dopo le Europee che il Regno Unito ha fissato per il 23 maggio ma dalle quali la leader inglese vuole tenersi più lontana possibile.
May ha messo in conto di dover pagare un prezzo alto, l'uscita di scena. E anche la spaccatura del suo partito, con i falchi sul piede di guerra contro l'unione doganale considerata inaccettabile, per Boris Johnson una «resa» a Corbyn.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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