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Md processa i magistrati che diedero torto a Cloe

La corrente delle toghe rosse: la prof aveva diritto di fare coming out senza preoccuparsi delle reazioni della scuola

Md processa i magistrati che diedero torto a Cloe

Chissà se Luigi Perina, giudice della sezione Lavoro del tribunale di Venezia, quando nel 2015 firmò quella sentenza immaginava che sette anni più tardi un drammatico fatto di cronaca avrebbe riportato la sua decisione sui giornali. E che per avere firmato quella sentenza lui sarebbe stato attaccato dai suoi stessi colleghi, additato come esempio di una cultura retrograda e irrispettosa dei diritti delle minoranze, in una sorta di cancel culture applicata alla giustizia.

La sentenza era quella che dava torto a Luca Bianco, l'insegnante di San Donà di Piave che si era presentato in classe vestito da donna, chiedendo da quel momento di venire chiamato Cloe, e che per questo aveva subito la sospensione di tre giorni dal lavoro. Perina aveva respinto il ricorso del docente, con una sentenza piena di buon senso: che non negava il diritto del docente a seguire la propria indole ma sottolineava la necessità di mettere gli alunni davanti alla novità in modo un po' più graduale.

Il seguito è noto: Cloe Bianco cade in una spirale di emarginazione e depressione, e pochi giorni fa si dà fuoco sul suo camper lasciando una lettera commovente. Ma la commozione dapprima si trasforma in attacchi carichi di livore contro l'assessore all'istruzione Elena Donazzan colpevole di aver definito Cloe «un uomo» vestito da donna». E ieri tocca a Perina, che finisce nel mirino del consiglio nazionale di Magistratura democratica che approva all'unanimità un documento contro la sua sentenza. Perina, dice il «parlamentino» di Md, prese «una decisione sbagliata, non moralmente o eticamente non condivisibile, ma giuridicamente sbagliata». Secondo la corrente delle «toghe rosse», la sentenza di Perina era uno strafalcione «perché i divieti di discriminazione proteggevano la diversità della professoressa Bianco e quindi impedivano che quella diversità potesse essere qualificata inadempimento disciplinarmente sanzionabile».

Poco conta che la sentenza di Perina definisse quella di Cloe Bianco «una legittima scelta identitaria», e contestasse solo la scelta della prof di presentarsi in classe «in minigonna, unghie laccate e parrucca» senza preparare la classe in alcun modo. Nel documento di Md il giudice veneziano viene accusato di avere trascurato insieme ai valori della inclusività e della tolleranza anche due sentenze che lo avrebbero costretto a dare ragione a Cloe: una del 1996 della Corte di Giustizia europea contro le discriminazioni transgender, e una della nostra Corte Costituzionale, che apre ai cambi di sesso anche senza operazione. Peccato che la sentenza dica anche che non basta «il solo elemento volontaristico» (come nel caso di Cloe) per cambiare sesso.

Dettagli. È colpa anche della sentenza di Perina, dice Md, se la povera prof si è trovata sola e discriminata, al punto di togliersi la vita. «L'amministrazione scolastica, i genitori, gli allievi non avevano quindi diritto di pretendere un coming out corretto o responsabile, avevano invece l'obbligo giuridico di rispettare l'identità della professoressa Bianco. Il fatto che non sia successo è anche responsabilità del sistema giudiziario».

All'anatema di Magistratura democratica si associa a stretto giro di posta un giudice dello stesso grado e specializzazione di Perina, il presidente del tribunale del Lavoro di Vicenza Gaetano Campo, anch'egli di Md: «Un documento sacrosanto, che riporta le regole del diritto e il sistema valoriale che le sostiene, nella giusta dimensione della tutela dei diritti».

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