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Il mea culpa di Zuckerberg: "Io responsabile degli errori"

Il fondatore: "Dobbiamo proteggere i vostri dati". Ma esplode l'ira di utenti e azionisti: pronte due class action

Il mea culpa di Zuckerberg: "Io responsabile degli errori"

«Abbiamo commesso degli errori. Abbiamo la responsabilità di proteggere i vostri dati e, in caso contrario, non meritiamo di servirvi. Ho iniziato Facebook e alla fine sono responsabile di quello che succede sulla nostra piattaforma: in questi giorni abbiamo lavorato perché tutto ciò non accada mai più. Ma non basta: faremo ancora di meglio». Alla fine arrivano le scuse di Mark Zuckerberg, travolto dallo scandalo Cambridge Analytica e dai suoi silenzi. Ieri sera ecco invece un lungo post sulla sua pagina personale, a cui è seguita nella notte un'intervista televisiva sulla Cnn. Mark si scusa e annuncia una restrizione nell'accesso dei dati da parte delle app e più chiarezza su ciò che va fatto per difendere la privacy. Basterà? Probabilmente no.

Si dice che per far cadere un impero basti il primo mattoncino. Se fosse vero, Mark Zuckerberg ricorderà i due giorni - gli ultimi - in cui quel piccolo pezzo gli è costato di botto 7,2 miliardi di dollari, ovvero il 10% del suo patrimonio. Ieri poi il titolo a Wall Street a un certo punto ha virato in positivo (come sempre accade in un momento speculativo) dopo aver perso il 10% in 48 ore, ma il caso non è chiuso. Tutt'altro. E le scuse non sono abbastanza.

Per esempio in California sono partite la prime class action contro il social network, e si sa che le class action sono come le ciliegie. Tant'è che in Italia il Codacons è già in rampa di lancio. In questo caso alcuni utenti si sono presentati al tribunale di San Josè, mentre un azionista, Fan Yuan, ha denunciato la compagnia per «comunicazioni false e ingannevoli» davanti alla corte federale di San Francisco. Segno del nervosismo che agita l'azienda al suo interno, sconcertata fino a ieri sera anche dal silenzio del boss, giustificato così al sito d'informazione Axios da una fonte vicina al capo: «Mark era più concentrato su come risolvere i problemi piuttosto che su cosa dire. Questo però ha lasciato un vuoto che ha provocato una copertura mediatica spietata, accrescendo i sospetti dei legislatori e lasciando persino alcuni dipendenti demoralizzati». Ovvero: l'uomo che ha inventato la comunicazione sociale su internet si è alla fine accorto di aver sbagliato la comunicazione nel momento più importante nella storia della sua compagnia.

Il vuoto è stato riempito da chi esige spiegazioni, anche perché si è anche saputo che Zuckerberg ha venduto mesi fa azioni per un valore di 70 milioni: ufficialmente per investirli nella sua fondazione benefica, ma la mossa è diventata sospetta. Negli Usa si è mossa la Federal Trade Commission con la minaccia di una multa da 40mila dollari per utente coinvolto (e sono 50 milioni) che metterebbe in ginocchio l'azienda. L'Ue attende il Ceo, in Italia si parla di commissioni d'inchiesta a Parlamento non ancora insediato. In Gran Bretagna un'altra gola profonda ha spifferato tutto: Sandy Parakilas, ex platform operations manager di Facebook ha detto ai componenti della Digital, Culture, Media and Sport Committee che «ci sono aziende che creano profili fantasma per carpire i dati degli utenti, ignari ovviamente di quanto accade: Facebook era al corrente, ma non è mai intervenuta». Il mattoncino potrebbe diventare un macigno.

Nel frattempo i protagonisti dello scandalo sono riapparsi in una misteriosa società che si occupa di dati, la Emerdata. La rivelazione è di Business Insider: le ultime arrivate nel cda siano Rebekah e Jennifer Mercer, due delle tre figlie del miliardario Robert Mercer, grande sostenitore di Trump nonchè fondatore appunto della Cambridge Analytica. Entrambe sono state nominate il 16 marzo e nella nuova società si aggiungono ad Alexander Nix- amministratore delegato ormai sospeso della CA - e a Julian Wheatland, presidente del Scl Group, casa madre della società finita sulle prime pagine mondiali. E che - è news di ieri - ha perfino lavorato in passato con la Difesa della gran Bretagna. Insomma un vera e propria spy story digitale a danno degli utenti di Facebook.

E le parole di Zuckerberg non basteranno a risvegliare i loro «like».

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