A Parigi, è evidente, tira pessima aria. Le inconsulte dichiarazioni del portavoce del partito di Macron sull'attività «rivoltante» del governo italiano sul fronte migranti fanno presagire momenti impegnativi per Giuseppe Conte chiamato a incontrare, tra venerdì e lunedì, il presidente francese e la cancelliera tedesca Angela Merkel. Ma a decidere l'esito del doppio incontro non sarà l'umore dei due interlocutori quanto le idee e i progetti con cui il nostro governo dimostrerà di saper dare continuità all'azione fin qui svolta. La formula più efficace è offrire agli interlocutori il progetto di una missione militare capace di risollevare l'orgoglio di un'Europa messa all'angolo dall'America di Donald Trump. Una missione militare che permetterebbe a noi italiani di chiudere le acque del Mediterraneo ai trafficanti di uomini e agli europei di togliersi dall'imbarazzo di un'irrealizzabile riforma del trattato di Dublino ricomponendo così la frattura con il gruppo di Visegrad. Lo schema di quella missione risolutrice è semplicissimo. Anche perché la missione esiste già, si chiama Sophia e attende soltanto di venir traghettata nella sua fase finale. Una fase finale già sperimentata con successo durante Atalanta, l'operazione anti-pirateria avviata a fine 2008 nelle acque e sulle coste della Somalia, una nazione assai simile come tipologia di «stato fallito», alla Libia di questi giorni. In quelle acque tra il 2010 e il 2012 le forze navali europee, comprese quelle italiane, entrarono ripetutamente in azione colpendo i pirati che sequestravano petroliere e navi da carico tenendone in ostaggio gli equipaggi. Nel maggio 2012 le forze europee non esitarono a colpire anche le infrastrutture terrestri dei pirati attaccando con elicotteri e truppe da sbarco il porto di Harardhere. Tutto questo ha portato, di fatto, all'eliminazione della pirateria dalle coste somale garantendo alle forze militari europee il loro primo autentico successo. Per replicarlo è sufficiente portare alla fase finale la missione navale Eunavfor Med attiva dal giugno 2015 di fronte alle acque territoriali libiche e affidata per lunghi periodi al comando italiano. A differenza di Atalanta la missione Sophia si è limitata fin qui ad addestrare la Guardia Costiera libica e a portare soccorso ai barconi. Non è mai entrata, insomma, in quella fase finale che prevede l'attività all'interno delle acque territoriali libiche per fermare la messa in mare dei barconi e l'impiego di unità da sbarco per attaccare i centri operativi dei trafficanti di uomini. Per passare a quella fase è necessario che l'Europa ottenga il via libera del Consiglio di Sicurezza dell'Onu o, in alternativa, del governo di Tripoli. Due obbiettivi complessi, ma non impossibili. Soprattutto in un momento in cui Germania e Francia sono particolarmente sensibili alla necessità di dimostrarsi alternativi alla potenza americana e rafforzare la disintegrata compattezza europea. A favore dell'Italia giocano anche le evoluzioni d'una Germania dove il ministro dell'Interno Horst Seehofer pretende posizioni più decise sui migranti mentre la Merkel apre all'idea di un impiego di Frontex, la polizia europea, al di fuori dei confini dell'Unione. È l'occasione buona, dunque, per risvegliare dal letargo una missione Sophia che non ci consentirebbe solo di combattere i trafficanti di uomini. Grazie a Sophia arriverebbero sulle coste africane quelle forze di Frontex - evocate dalla Merkel - indispensabili per garantire la sicurezza dei campi in cui ospitare i migranti liberati dal controllo dei trafficanti.
Campi da cui avviare veloci operazioni di rimpatrio volontario verso i paesi d'origine sulla falsariga di quanto si è tentato di fare dopo il ritorno delle Nazioni Unite in Libia. Conte e Salvini hanno una carta da offrire all'Europa. L'importante sarà sapersela giocare.
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