La Meloni e il Capitano si contendono i sovranisti

Lei attacca sui pieni poteri, lui in mascherina nera occupa le Camere e spara sulla Cgil

La Meloni e il Capitano si contendono i sovranisti

«Ho la sensazione che il senatore sia in una fase in cui ha bisogno di trovare a tutti i costi dei nemici, perché i sondaggi gli stanno scendendo». Non è diversa da quella che circola nel centrodestra l'interpretazione che Maurizio Landini, il segretario della Cgil, dà dell'ultimo attacco arrivato da Matteo Salvini nell'aula del Senato (il Paese «ostaggio della Cgil, che ci dice quel che possiamo o non possiamo fare»).

È diffusa l'idea che non gli giovi l'insuccesso, in questo caso il calo nei consensi attribuitogli dagli ultimi sondaggi. Tanto più che a insidiarne la leadership sovranista è la presidente di Fratelli d'Italia, Giorgia Meloni da Roma, classe 1977, quattro anni più giovane di lui, che si è schierata a spada tratta con le ragioni degli imprenditori, in particolare i piccoli, considerati dalla Lega un proprio bacino elettorale, e ha inseguito da destra le ragioni della riapertura lanciate per la prima volta dall'ex premier Matteo Renzi.

Insidiosa per Salvini la posizione della Meloni, a maggior ragione quando, come ieri alla Camera, sembrava lo volesse difendere per aver chiesto «pieni poteri» durante un comizio nella rovente scorsa estate del Papeete. Ha detto rivolta al presidente del consiglio: «Lei non ha mai pensato di farsi votare da nessuno, ma i pieni poteri li chiede lo stesso». Poteva sembrare un attacco a Conte, ma l'effetto anti Salvini è prevalente, anche perché senza scontrarsi apertamente ne blandisce gli elettori.

La leader di Fratelli d'Italia ha sostenuto più volte di non essere disponibile a sostenere un governo di unità nazionale in assenza di elezioni. Una posizione che aiuta a mettere in sicurezza il ruolo del premier in un momento in cui anche parte della sua stessa maggioranza ipotizza formule alternative. «Il ruolo di capo di una coalizione è il più difficile, perché devi rinunciare alle esigenze del tuo partito. Devi volerlo fare. Guardo al futuro» dice Ignazio La Russa, Fdi, parlando di Salvini.

Entrambi, il segretario della Lega e Meloni, hanno toni da campagna elettorale, benché le elezioni non siano alle porte e anzi nessuno dei due si sia sollevato contro la decisione di rinviare il referendum e le regionali. Salvini, al grido di «torniamo liberi», si trova insieme ai suoi leghisti a occupare giorno e notte il Parlamento, con la protezione di una mascherina nera con la fascia tricolore che strizza l'occhio a un certo pubblico. La Meloni si è dissociata dall'iniziativa («non siamo stati informati»). Poche decine di ore prima, c'era stato un altro confronto. Salvini aveva parlato di piazza e Meloni no, per poi lanciare Fratelli d'Italia in un flash mob davanti alla Camera. Un elemento di contesa sono le piazze, già oggetto di futuri desideri.

Salvini, rimasto ad alzare la voce soprattutto sui social, ha dovuto constatare i limiti di questa scelta, soprattutto in un momento in cui la gente cerca di essere informata, accompagnata e rasserenata in vista della fase due. Il leghista Giancarlo Giorgetti, dal profilo più moderato, rigetta nella mischia Mario Draghi sulla Prealpina: «Io ho sempre lavorato per unire le anime della Lega, non sono per natura una persona che crea divisioni.

Con Salvini spesso ci confrontiamo, a viso aperto, e poi si trova sempre la sintesi». Giorgetti separa anche gli ambiti di influenza: a Salvini i social, a lui medesimo le relazioni per così dire pesanti. Vecchi schemi ma la realtà è nuova.

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