
da Roma
L'auspicio è quello di riuscire finalmente a creare un asse solido tra Roma e Berlino, certamente ben più saldo di quando il governo tedesco era guidato dal socialista Olaf Scholz. Il timore è che Fridrich Merz - da ieri nuovo cancelliere tedesco - possa però non liberarsi facilmente da quello che in Germania hanno ribattezzato «lo stigma del 6 maggio». L'esponente popolare, infatti, per la prima volta nella storia del Bundestag ha avuto bisogno di una seconda votazione per ottenere il via libera del Parlamento. Un messaggio eloquente da parte della maggioranza che lo sostiene, dove sia la Cdu che l'Spd sono alle prese con fibrillazioni interne. I primi in particolare, condizionati da quel pezzo di partito che si sente orfano di Angela Merkel. Il segnale mandato a Merz - accusato in casa di eccessivo decisionismo (e non solo nello stilare la lista dei ministri) - è chiaro: basta una spinta e salta il banco. E questo potrebbe condizionarne non poco le prossime mosse, anche perché nei mesi a venire Merz dovrà tener conto del fatto che tra la prima e la seconda votazione ha chiesto una mano a Verdi e Linke (che hanno contribuito a evitare un rinvio del voto).
Così, quando da Berlino rimbalza la notizia della prima bocciatura di Merz, a Palazzo Chigi rimangono interdetti. Giorgia Meloni è «sorpresa», la considera assolutamente «inattesa». E pur dicendosi sicura del fatto che Merz ce l'avrebbe poi fatta, ha chiaro fin da subito che quella del futuro cancelliere rischia di essere una vittoria mutilata. Che, in verità, in Transatlantico strappa il sorriso a qualche esponete di Fdi, convinto che questo confermi il fatto che «il governo Meloni resta il più solido d'Europa». Ma una Germania che esce da una situazione di recessione restando ostaggio della instabilità politica non può essere un bene per l'Italia. Non è un caso che nel suo messaggio di congratulazioni a Merz, Meloni definisca «fondamentale» la collaborazione tra Italia e Germania «per affrontare le sfide internazionali». E la premier entra nel dettaglio. Roma e Berlino, le due più importanti economie manifatturiere d'Europa, «possono fare la differenza per il rilancio della competitività», in particolare del «settore automobilistico», così come «per la costruzione di partenariati con l'Africa e per il contrasto all'immigrazione irregolare».
Tutti fronti sui quali Meloni avrebbe preferito un Merz più autonomo e meno condizionabile dall'Spd. Che proprio su dossier chiave come green, automotive e migranti ha un approccio molto diverso da quello di Palazzo Chigi. Peraltro con possibili ricadute anche a Bruxelles. Che il Ppe sia a trazione fortemente tedesca, infatti, non è un mistero. E se Merz dovesse spostare la barra più verso il centro questo avrebbe ricadute anche su Ppe al Parlamento europeo. Insomma, spiega Carlo Fidanza, «l'auspicio è che questo incidente di percorso non condizioni ulteriormente verso sinistra l'agenda Merz». Peraltro, aggiunge il capo-delegazione di Fdi in Europa e vicepresidente di Ecr, «proprio in una fase in cui dal green deal all'immigrazione c'è bisogno di rafforzare la collaborazione tra Ecr e Ppe».
Soddisfatto per la vittoria di Merz, anche il vicepremier Antonio Tajani. A differenza del suo collega Matteo Salvini, visto che la Lega non ha perso l'occasione per andare all'attacco di chi ha tentato il «cordone sanitario» contro Afd. Il leader di Forza Italia, invece, è convinto che sia «l'inizio di una nuova stagione politica», che «rafforzerà i legami tra Italia e Germania». D'altra parte, Tajani è popolare come Merz e già da tempo i due hanno rapporti molto stretti.
Insomma, che si possa creare davvero un'intesa privilegiata tra Roma e
Berlino è più che probabile. Che questo possa insidiare lo storico asse franco-tedesco è invece quasi impossibile. Non a caso, già oggi Merz sarà all'Eliseo per incontrare Emmanuel Macron nella suo prima visita di Stato.
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