Meloni rompe il silenzio e blinda Delmastro "Ma abbassiamo i toni". Il niet di dem e grillini: "Deve cacciare i suoi"

In una lettera al "Corriere" il premier difende il sottosegretario: "Non deve dimettersi"

Meloni rompe il silenzio e blinda Delmastro "Ma abbassiamo i toni". Il niet di dem e grillini: "Deve cacciare i suoi"

Una strigliatina, ma piccola, ai suoi: «Sicuramente i toni si sono troppo alzati e invito tutti, a partire dagli esponenti di Fratelli d'Italia, a riportarli al livello di un confronto franco e rispettoso». Una concessione, ancora più piccola, al Nazareno infuriato per «un'accusa certamente eccessiva», cioè quella di flirtare con anarchici e mafiosi per sabotare il 41 bis. Però sul punto centrale Giorgia Meloni non cede. «Le notizie non erano coperte da segreto, quindi non ci sono i presupposti per le dimissioni di Dalmastro e Donzelli». Di più. «Trovo singolare l'indignazione del Pd quando in passato sono stata dipinta come il mandante morale dei morti in mare o come il segretario di un partito eversivo. È paradossale che non si possa chiedere conto alla sinistra delle sue scelte, quando all'origine delle polemiche si colloca la visita a Cospito di una qualificata rappresentanza del Partito democratico». Da qui l'appello, quasi istituzionale, che chiude la lettera della premier al Corriere della Sera. «È una situazione inquietante che rischia di avere conseguenze gravi. Serve uno Stato compatto, in tutte le sue articolazioni e componenti».

Ma niente, appello respinto. Anzi, a stretto giro, ecco la dura replica della dirigenza dem. «Dopo giorni di attesa sono arrivate le parole del presidente del Consiglio - scrivono in una nota il segretario Enrico Letta e le capogruppo Simona Malpezzi e Debora Serracchiani - Pensavamo fosse preoccupata di comporre l'unita e la coesione del Paese in un momento di forte tensione, purtroppo abbiamo letto le frasi di un capo partito che difende l'indifendibile e che rilancia polemiche livorose contro l'opposizione». Altro che dialogo, «riattizza il fuoco anziché spegnerlo». Giuseppe Conte invece l'invito alla calma lo raccoglie, «abbiamo sensibilità istituzionale». Però la Meloni «dimostri di non essere solo la leader di partito e imponga a due suoi fedelissimi di dimettersi perché hanno sbagliato usando informazioni sensibili per aggredire una forza di opposizione».

Insomma, l'aria è questa, come dimostra lo scambio di tweet tra Guido Crosetto e Carlo Calenda, due che in genere passano per moderati. «Bisogna accantonare la polemica politica quando lo Stato e sotto attacco», scrive il ministro della Difesa. «Infatti è per cementare l'unita che Donzelli e Dalmastro ripetono che la sinistra si inchina ai mafiosi - risponde il leader di Azione - Serve rispetto reciproco e non l'uso dei poteri dello Stato contro le minoranze». Crosetto bis: «Vuoi la rissa e non il confronto, non mi interessa». Calenda che non molla: «Non fare il furbacchiotto. La mattina scrivi all you need is love e la sera giustifichi i toni violenti. Qui con gli anarchici non ci sta nessuno. Non buttarla in caciara».

Eppure, stando alla Meloni, l'intento della lettera era quello di soffocare la rissa. «Mentre maggioranza e opposizione si accapigliano, attorno a noi il clima si sta surriscaldando. E non risparmia nessuno, come si vede dai manifesti alla Sapienza che definiscono assassini il presidente della Repubblica e i membri di diversi governi senza distinzione di colore». Ci si scontra tra partiti, nota la premier, intanto Donzelli e Delmastro finiscono sotto scorta e «ovunque appaiono minacce alle istituzioni italiane, in patria e all'estero». Insomma, non è la solita bega politica ma una «situazione pericolosa».

La chiave per lei sta nelle pressioni per revocare il regime del carcere duro. «Quello che mi colpisce, più ancora della visita, è che esponenti autorevoli del Pd, dopo aver preso atto dei rapporti tra Cospito e i boss mafiosi, abbiano continuato a chiedere la revoca del 41 bis, fingendo di non comprendere le implicazioni di una simile scelta sulla lotta alla criminalità organizzata». Insomma, si tratta di «un polverone strumentale».

Davvero «è singolare che ci si scandalizzi perché in Parlamento si è discusso di documenti non coperti da segreto» mentre fiorisce il gossip giudiziario e «da anni conversazioni private, queste si da non divulgare, diventano di dominio pubblico». Ma ora basta liti, conclude, perché «questa escalation può portarci ovunque».

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