Al termine del Consiglio dei ministri che dà il via libera alla legge di Bilancio, Giorgia Meloni si presenta a sorpresa nella sala conferenze stampa di Palazzo Chigi accompagnata dai vicepremier Antonio Tajani e Matteo Salvini e dal ministro dell'Economia Giancarlo Giorgetti. A suo modo è un evento, visto che l'ultima conferenza stampa della premier nel formato classico risale al 9 gennaio scorso. Nella tarda serata di ieri la premier ha poi potuto celebrare un'altra vittoria: l'agenzia di rating Dbrs ha alzato la valutazione dell'Italia riportandola in serie A (precisamente con un "A (low)")
Una scelta, quella di Meloni, che ha un duplice obiettivo. Il primo è intestarsi una manovra da 18,7 miliardi di euro, "molto seria ed equilibrata" e "più leggera" del passato perché "tiene conto anche del quadro complessivo", ma che si caratterizza per una misura più che popolare come il contributo delle banche per tagliare le tasse e finanziare la sanità. Il secondo è rimandare all'esterno l'immagine di una maggioranza compatta, dopo aver sciolto - nella tarda serata di giovedì - gli ultimi nodi ancora sul tavolo. Così, Meloni ringrazia "tutti i ministri e i vicepremier" perché "abbiamo lavorato con serenità, buon senso e compattezza". Anche sulla delicata questione del contributo da 11 miliardi in tre anni per banche e assicurazioni, dossier che fino al vertice dell'altro ieri sera ha fatto registrare tensioni, soprattutto tra Forza Italia e Lega.
La premier, infatti, rivendica l'intesa raggiunta tra gli alleati e con gli istituti di credito. "C'è un importante contributo da istituti bancari e assicurativi, che voglio ringraziare" perché "abbiamo trovato una disponibilità che non era scontata", spiega Meloni assicurando che "sulle banche l'intento non era punitivo", tanto che "non c'è la tassazione sugli extra-profitti". Circostanza che sottolinea anche Tajani, ribadendo che "c'è stato un confronto con il mondo delle banche" a testimonianza di un "lavoro condiviso".
Meloni illustra quindi le "quattro priorità" della manovra: famiglia e natalità, riduzione delle tasse, sostegno ai salari e alle imprese, sanità. Su quest'ultimo punto - su cui da mesi batte la segretaria del Pd Elly Schlein - si sofferma più a lungo. "Da quando ci siamo insediati - dice - abbiamo destinato risorse aggiuntive al Fondo sanitario nazionale portandolo a 136 miliardi rispetto ai 126 di prima. Con la manovra dello scorso anno prevedevamo di portare nel 2026 il Fondo a 140,6 miliardi, ma abbiamo fatto di più prevedendo ulteriori 2,4 miliardi per il 2026". Insomma, "se proseguiamo questo trend a fine legislatura le risorse in più del Fondo saranno di circa 30 miliardi". Introiti che serviranno ad "assumere circa 6.300 infermieri e ulteriori mille medici".
Prima che lasci la sala stampa di Palazzo Chigi, viene chiesto a Meloni un commento sulle parole di Sergio Mattarella sui salari. "Sappiamo - risponde la premier - che in Italia c'è un problema e sappiamo che non si risolve da un giorno all'altro. Nei dieci anni precedenti al nostro governo, il potere d'acquisto dei salari italiani diminuiva di oltre il 2% mentre nel resto d'Europa cresceva del 2,5%. La buona notizia è che adesso questa tendenza si è invertita: i salari hanno ripreso a crescere più dell'inflazione, quindi la strategia che il governo ha messo in campo sta dando dei frutti".
E si può affermare che il raccolto sia ottimo. Dopo S&P e Fitch anche Dbrs ha alzato il rating dell'Italia riportandolo, per la prima volta in serie A dal gennaio 2017 (con le altre tre big la perdita del Paradiso risaliva al 2012). "Frutto del lavoro costante di questi tre anni di governo, l'Italia torna in serie A con grande orgoglio", ha commentato il ministro dell'Economia Giorgetti. Ma quali i motivi della promozione? In primo luogo, spiega la nota, un consolidamento fiscale credibile con prospettiva di stabilizzazione del debito pubblico nel medio periodo.
In secundis, la riduzione strutturale delle vulnerabilità del settore bancario e il miglioramento della posizione sull'estero che mostra un economia più resiliente. C'è un terzo motivo: "il governo Meloni è percepito come stabile, coerente e credibile nelle politiche fiscali". E questo non è poco.