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Meloni soddisfatta per Ppe e Quirinale. Tensioni con la Lega: "bandierine" sul dl

Palazzo Chigi plaude a Weber e a Mattarella Il Colle cauto: no ai nazionalismi, Dublino bloccata da Visegrad e Conservatori. Decreto Cutro: al Senato niente fiducia, alla Camera sì

Meloni soddisfatta per Ppe e Quirinale. Tensioni con la Lega: "bandierine" sul dl

Questione di sfumature. Che in politica, spesso e volentieri, cambiano percezioni e interpretazioni. A Palazzo Chigi, infatti, leggono con grande soddisfazione sia le parole di Manfred Weber che quelle di Sergio Mattarella. Il primo, presidente del Ppe, in un'intervista al Corriere della Sera ha sposato completamente la linea del governo italiano sull'immigrazione, spiegando che «l'Italia va ringraziata», che «gli altri Paesi» europei «devono aiutarla» e che l'Ue è «pronta a costruire muri» per «proteggere i confini». Mentre il secondo, ieri in visita a Varsavia, ha auspicato un superamento degli accordi di Dublino (che, sintetizzando, prevedono sia il Paese di primo approdo a farsi carico dei migranti clandestini, senza contemplare la redistribuzione) perché il problema, spiega il presidente della Repubblica, va affrontato con «un'azione comune» e «serve una nuova politica di asilo», superando «vecchie regole che sono ormai preistoria». La convenzione di Dublino, appunto. Su cui, va detto, ormai da qualche tempo Giorgia Meloni non nasconde le sue perplessità, essendo l'Italia uno dei principali Paesi di primo approdo. Dal Quirinale, però, c'è chi fa notare come in questi anni sia stato proprio il gruppo di Visegrad - ma anche l'Olanda e altri nordici - a opporsi alla riforma di Dublino, un trattato su cui ha alzato le barricate anche la Lega, che quando era al governo nel Conte 1 ha sistematicamente disertato le riunioni di Bruxelles e Strasburgo in cui si discuteva della questione. Insomma, il fatto che Mattarella abbia scelto proprio a Varsavia - davanti al presidente della Polonia, Andrzej Duda - di esaltare i «valori che condividiamo nell'Ue» e puntare il dito contro le «esasperazioni nazionalistiche» sarebbe anche una sorta di auspicio affinché il governo italiano si muova in questa direzione. Meloni, infatti, è presidente dei Conservatori e riformisti europei, partito di cui i polacchi di Diritto e giustizia di Mateusz Morawiecki sono colonna portante. Insomma, quello del Colle è «un assist alle ragioni dell'Italia», non una sponda al governo.

Sfumature a parte, però, è nelle cose che le parole di Mattarella vadano nella direzione verso cui guarda Meloni. Di qui la soddisfazione di Palazzo Chigi, dove si continua ad auspicare che il prossimo Consiglio Ue di fine giugno possa segnare il passo sul fronte dell'emergenza migranti. E dove non è passato inosservato l'allarme del capo dello Stato sul ruolo di «destabilizzazione» che sta avendo in Africa - in particolare in Sudan - la Wagner. Una questione, fanno notare fonti di governo, che Meloni ha sollevato da mesi.

E poi c'è la soddisfazione per le parole di Weber. Nel merito, perché la percezione della premier è che «i partiti conservatori europei stiano finalmente prendendo consapevolezza» del problema migranti. Ma anche in prospettiva, perché è evidente che la sponda del presidente del Ppe su un tema così divisivo è, nei fatti, un assist in vista di una possibile intesa tra Popolari e Conservatori quando, dopo le Europee del prossimo anno, si decideranno le alleanze che governeranno l'Ue per il quinquennio 2024-2029.

Sullo sfondo resta il decreto Cutro sulla gestione dei flussi migratori (che riscrive la protezione speciale). Il dl, in discussione ieri in commissione Affari costituzionali del Senato, arriverà infatti in Aula senza aver concluso l'esame e, dunque, senza il mandato a un relatore. Colpa dell'ostruzionismo dell'opposizione ma - fanno notare da Fdi - anche della Lega che non ha voluto ritirare i suoi emendamenti «bandiera». Perché - è la linea che il ministro per i Rapporti con il Parlamento, Luca Ciriani, veicolava ieri ai suoi colleghi senatori - è giusto superare la «protezione speciale», ma «dobbiamo farlo con norme di buon senso». Insomma, un certo fastidio verso la Lega c'è. Anche perché Meloni vuole fare il possibile per non mettere la fiducia sul provvedimento (strada non gradita al Colle). Probabilmente riuscirà ad evitarlo al Senato.

Ma il decreto decade il 9 maggio e - con il ponte del 25 aprile e quello del Primo maggio, oltre alla rigidità del regolamento di Montecitorio - è quasi impossibile ci riesca alla Camera.

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