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Le memorie dorate di una ex hostess: "Quella spiaggia privata nel resort di Caracas"

Lucia, assistente di volo negli anni Sessanta «Hotel di lusso e maxi diarie, eravamo regine»

Le memorie dorate di una ex hostess: "Quella spiaggia privata nel resort di Caracas"

Malinconia? «Sì, mi fa malinconia vedere Alitalia fare questa fine. Ma con un po' di distacco emotivo dico anche che non poteva reggere. Era chiaro da tempo che sarebbe finita così. Io sui suoi aeroplani ho vissuto due anni fantastici. Ma quello stile non poteva durare. Troppo champagne, troppe aragoste, troppi benefit».

Lucia è una bella signora vicina ai settanta, cui gli anni in giro per il mondo non hanno tolto l'accento della marca trevigiana. Sugli aerei con la livrea tricolore ha volato solo due anni: la fine degli anni Sessanta, l'Italia che sull'onda del boom economica cullava sogni di grandeur, e che aveva nella sua compagnia di bandiera un suo ambasciatore nel mondo: e che le permetteva lussi insensati, non solo per coccolare i passeggeri ma anche per coccolare i dipendenti. Di quella cultura da partecipazioni statali, serenamente libera dai lacciuoli dei conti economici e del profittto, è figlio in fondo anche lo sfacelo che oggi ha portato Alitalia all'agonia. «I sindacati avevano già cinquant'anni fa un potere assoluto, bastava che minacciassero uno sciopero e ottenevano tutto quello che volevano, e così giocavano continuamente al rialzo».

Aveva vent'anni, Lucia, quando su un giornale lesse l'inserzione di Alitalia che cercava personale. «Allora c'era il Mec, il mercato comune, le assunzioni si facevano in tutta Europa. Alle selezioni c'era un sacco di gente, alla fine di italiani entrammo solo in due, perché era essenziale sapere perfettamente l'inglese e allora in Italia era piuttosto raro. Io avevo la fortuna di avere fatto la scuola per interpreti».

Da allora, e per due anni, la sua vita è stata un lungo decollo. Prima sui voli a corto raggio, poi sul medio e sul lungo: «Vita impegnativa, certo. Faticosa, anche, soprattutto sul lungo raggio, per via del fuso orario, dopo un po' non capivo più se per il mio corpo era giorno o notte. Ma sull'altro piatto della bilancia c'era uno stipendio che faceva di me, tra tutti i miei coetanei, una privilegiata. E un sacco di altri vantaggi che spesso erano ancora più consistenti dello stipendio».

Per esempio? «La diaria di missione era così ricca che non riuscivamo a spenderne neanche un terzo, eravamo già spesati di tutto, mangiavamo a bordo, la diaria ce la mettevamo in tasca. O gli alberghi. Credo che Alitalia si facesse una questione di immagine di non scendere sotto al cinque stelle. A Milano ci faceva dormire al Gallia, che all'epoca era uno degli alberghi più lussuosi della città; d'estate, quando c'era il volo su Rimini, si dormiva al Grand Hotel, quello di Fellini. Ma il bello era quando si andava all'estero».

«Le mete preferite per noi personale di bordo erano quelle sudamericane, soprattutto di inverno, quando lì è estate. Prima di ripartire per l'Italia avevamo diritto a quattro o cinque giorni di pausa, praticamente una vacanza tutta spesata. Se atterravamo a Caracas venivamo ospitati in un albergo indimenticabile, con la piscina e la spiaggia privata, non oso immaginare quanto costasse. Ma come si poteva andare avanti così?».

Dopo due anni di quella vita, Lucia lasciò Alitalia: «Mi ero innamorata dell'uomo che poi sarebbe diventato mio marito, volevo vivere a Milano e per essere assunti a tempo indeterminato in Alitalia bisognava avere la residenza a Roma. Se non mi fossi innamorata sarei andata avanti perché oggettivamente era un bel lavoro». Stressante? «Un po'. Ma a quarant'anni sarei andata in pensione e avrei potuto cominciare un'altra carriera».

«A bordo c'era un bel clima. Si viveva tutti insieme, noi e i piloti, con colleghi che cambiavano continuamente ma con cui c'era grande affiatamento. La sera magari prima di andare in albergo si andava a teatro. A cena raramente, perché si mangiava a bordo. Come hostess in teoria avevamo diritto ai vassoi, quelli della classe turistica. Ma il cibo per la prima classe veniva imbarcato in quantità tali che ne avanzava sempre in abbondanza, e noi potevamo servirci. E che cibo. In Africa aragoste, in Europa caviale. Si pasteggiava a champagne. Non era male, la vita a bordo degli aerei di Alitalia».

E adesso? Perché i dipendenti di Alitalia hanno scelto la via del suicidio di massa? «Secondo me non si rendono conto che i tempi sono cambiati, sono stati salvati troppe volte e sono convinti che anche adesso arriverà qualcuno a tenere in volo gli aerei».

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