Le guide enogastronomiche sono quasi morte, ma non ci stanno a riposare in pace. Il modello punteggi-classifiche-recensioni-premi è stato messo in crisi dalla democraticizzazione spesso oscenamente populistica di Tripadvisor, dove anche il sordido vicino di casa che ascoltate di sera scongelare sofficini attraverso il muro in cartongesso può dire la sua sulla trattoria all'angolo, dando il suo misero e rancoroso contributo alle fortune e più spesso alle sfortune dell'insegna. Ma se per i ristoranti resiste l'allure vagamente perfido del chi-sale-chi-scende dei cuochi artificiali, quelli tutta Tv e poetica, per i vini è un vero casino: sono troppi, di troppe tipologie, di troppe regioni (questa maledetta penisola in cui ogni angolo ha i suoi vitigni autoctoni), di troppe fasce di prezzo e se confrontate al top cento delle principali guide non troverete che un pugno di etichette in comune.
E quindi? E quindi boh. Si va a tentoni a caccia di nuovi format e che Bacco, perbacco, gliela mandi buona. I primi a esplorare nuove strade sono stati Andrea Grignaffini e Antonio Paolini, nuovi curatori della guida Vini d'Italia 2017 dell'Espresso. I due hanno avuto ampio mandato a mischiare le carte e lo hanno fatto a metà, escogitando un volume che non dà voti, segue solo in parte la tradizionale road map geografica che parte dalla Val d'Aosta e finisce in Sardegna preferendo la suddivisione per denominazioni, cerca di non essere semplicemente le pagine gialle del vino, ma alla fine non sfugge alla consueta logica del listone, che è poi quello che lettori ed enoappassionati pretendono. Una presa di coraggio, il catalogo è questo, che orienti il consumatore nei suoi acquisti e nelle sue ordinazioni secondo il criterio ancora infallibile (non se n'è ancora trovato uno migliore) del: i gusti sono gusti, ma tu che te ne intendi dicci che cosa è meglio per te.
Ne sono nate tre classifiche all around, che non fanno distinzioni tra tipologie e regioni, ma tra filosofie di fruizione. Cento vini migliori tra quelli da bere subito, quindi tra i meno ambiziosi e costosi. Cento vini migliori da conservare e quindi più nobili e collezionabili (e cari, ça va sans dire). Cento vini migliori da comprare, e quindi secondo il classico contemporaneo criterio del rapporto qualità-prezzo. Ne escono fuori le liste che pubblichiamo a fianco in versione forzatamente sintetica, per ragioni di spazio. Tra i 100 vini pronti vince un Barbaresco, il Crichët Pajé 2007 de I Paglieri, davanti al Greco di Tufo Pietra Rosa 2013 di Di Prisco e al Franciacorta Extra Brut Vittorio Moretti Riserva Meraviglioso di Bellavista, sorta di supercru delle creazioni dell'enologo Mattia Vezzola. Nella top ten un altro Franciacorta (il Brut Satèn Vintage Collection 2011 di Ça' del Bosco), quattro bianchi (due altoatesini, un piemontese e un goriziano), il mitico rosso Trentino San Leonardo 2011 al sesto posto e il Marsala Vintage Riserva Superiore Ambra Dolce 1980 delle Cantine Intorcia. Tra i vini da mettere in cantina vince il Taurasi Poliphemo 2012 di Luigi Tecce, davanti al Barolo Monprivato 2011di Giuseppe Mascarello e al Barbaresco Pajé Vecchie Viti 2011 de I Paglieri. Nel resto della top ten ancora tanto Piemonte (tre Barolo e un Barbaresco) due Brunello di Montalcino Riserva 2010 (Corte dei Venti e il mitico Biondi Santi) e l'Amarone 2007 di Quintarelli.
Tra i vini convenienti primo il Brunello di Montalcino 2011 Ridolfi, secondo il Verdicchio di Matelica 2015 Collestefano, terzo il grandioso Trebbiano d'Abruzzo Gianni Masciarelli 2015. Gli altri sette posti della top ten comprendono cinque piemontesi (due Barolo, due Barbaresco e un Barbera d'Alba), un Brunello di Montalcino e un Franciacorta. Cin cin Italia, alla faccia della crisi.
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