Se la stampa inglese e quella americana, che da fronti opposti si sono occupate a lungo del delitto di Perugia, leggeranno le motivazioni - depositate ieri - della sentenza della Cassazione che ha chiuso definitivamente il caso, l'immagine del nostro sistema giudiziario non ne uscirà migliorata. Perché nelle 52 pagine in cui assolvono definitivamente Amanda Knox e Raffaele Sollecito dall'accusa di avere ucciso - la sera dell'1 novembre 2007 - la giovane Meredith Kercher, i giudici della Quinta sezione usano la clava verso buona parte di chi ha lavorato al caso: gli investigatori e la polizia, in primo luogo; ma anche i giudici dei processi precedenti, che hanno dato vita a un andirivieni di condanne e di assoluzioni incomprensibili all'opinione pubblica.
Per la Cassazione, è sicuro che Amanda fosse nella casa del delitto, e Raffaele era con lei: ma le certezze si fermano qui. Nulla dimostra che abbiano aiutato Patrick Guede ad uccidere la ragazza americana. Eppure le prove si sarebbero potute trovare, se il «deprecabile pressapochismo nella fase delle indagini preliminari» non avesse causato danni irreparabili: il caso più eclatante riguarda il gancio del reggiseno di Meredith, abbandonato sul pavimento della stanza del delitto, per 46 giorni durante i quali «vi furono altri accessi degli inquirenti che rovistarono ovunque spostando mobili ed arredi. Il gancetto fu forse calpestato o comunque spostato. All'atto della repertazione, il gancetto veniva passato di mano in mano degli operanti che peraltro indossavano guanti in lattice sporchi»: un comportamento che rende inattendibile qualunque analisi del Dna. Ma c'è anche la «discutibile scelta strategica dei genetisti della polizia scientifica» che distrussero le minime tracce presenti su un coltello a casa di Amanda, rendendo impossibile capire se si trattasse di sangue o altro Dna. Fino all'episodio più surreale, i computer di Amanda e Meredith «incredibilmente bruciati da improvvide manovre degli inquirenti».
«Clamorose defaillances, amnesie investigative, colpevoli omissioni»: figlie anche della «spasmodica ricerca di uno o più colpevoli da consegnare all'opinione pubblica internazionale». I giudici di Firenze che, ciò nonostante, condannarono Amanda e Raffaele vengono accusati di avere voluto «ovviare a incolmabili vuoti investigativi» con argomenti logici «meramente assertivi ed apodittici» e con «vistosi errori»; e ce n'è anche per la Cassazione che nel 2013 annullò le prime assoluzioni, facendo «incursione nel merito e debordando dai limiti istituzionali».
Ora il caso è chiuso, con un solo colpevole: Rudy Guede, l'ivoriano condannato in via definitiva a 16 anni, come esecutore materiale «in concorso con altri». Ma chi erano i suoi complici, se Amanda e Raffaele sono innocenti? Giulia Bongiorno, legale di Sollecito, spiega che «i complici non esistevano, Guede ha fatto tutto da solo»; e le sentenze che lo condannarono scrivendo il contrario sono frutto delle lacune dell'indagine. La Cassazione, a dire il vero, anche ieri scrive che non fu così: Guede non può avere ucciso Meredith senza aiuti.
Ma è certa «l'impossibilità che sulla scena dell'omicidio non fossero residuate tracce» di Sollecito e della Knox «in caso di loro partecipazione all'omicidio». Ma le tracce non ci sono: «Un monolite invalicabile».Vittoria doppia per la Bongiorno che annuncia una «richiesta di risarcimento per ingiusta detenzione».
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