«Ho guardato più lontano perché stavo sulle spalle dei giganti». Il celebre aforisma di Isacco Newton ben si addice a Carlo Messina, romano, 56 anni, consigliere delegato e ceo di Intesa Sanpaolo. L'offerta pubblica di scambio lanciata su Ubi Banca non rappresenta solo l'inizio di un nuovo round di aggregazioni nel settore bancario italiano ed europeo (sotto l'egida della Vigilanza Bce), ma costituisce anche un unicum nella storia finanziaria italiana.
Si tratta della prima grande operazione che non si sviluppa in un contesto più o meno emergenziale, che si presenta come un progetto totalmente di mercato (non sono stati preventivamente consultati gli azionisti di «peso» su entrambi i fronti) e che, soprattutto, vede coinvolta in prima linea nel ruolo di consulente Mediobanca, per anni contraltare laico del polo cattolico-sociale che, in ambito economico, si riconosceva in Intesa.
Non si può non ascrivere a Carlo Messina il merito di aver compiuto questo ulteriore passo in avanti superando retaggi del secolo scorso anche relativamente all'obiettivo dell'acquisizione: Ubi Banca. Nata con un forte radicamento territoriale tra Bergamo e Brescia e che si poneva come continuatrice ideale degli istituti da cui era sorta, dediti a finanziare le imprese locali. Il numero uno di Intesa, invece, si è sempre posto come orizzonte l'intero Paese e tutta la narrazione dell'Ops travalica qualsiasi localismo tant'è vero che si accenna esplicitamente a 30 miliardi di euro in più al servizio del finanziamento dell'economia.
Messina, quindi, sembra aver operato una cesura con il passato, con la figura del «banchiere di sistema» perfettamente incarnata dal suo predecessore e mentore Corrado Passera nel suo secondo decennio a Ca' de Sass. Un istituto di credito in prima fila ove fosse necessaria una stabilizzazione degli assetti consolidati dalla Fiat pre-Marchionne fino al Corriere della Sera. E forse proprio l'aver appoggiato la rivoluzione gentile di Urbano Cairo (editore puro contro quel che restava del «salotto buono») in via Solferino è indicativo di un nuovo modo di intendere il ruolo di banchiere.
Analogamente, non si può non rilevare come la futura Intesa Sanpaolo «campione europeo» si origini da una dimensione prettamente nazionale. Messina è stato sempre scettico (e lo ha ribadito anche ieri) sulle aggregazioni transfrontaliere, rese incerte da un quadro normativo troppo frammentato per garantire certezza del diritto e dei diritti.
L'operazione con Ubi rappresenta perciò un punto di caduta soddisfacente per perseguire obiettivi di crescita sempre più difficili da raggiungere per un istituto di credito in un contesto caratterizzato da bassi tassi d'interesse e altrettanto bassi margini e dalla necessità di sostenere ingenti investimenti tecnologici. Intesa-Ubi, inoltre, è la prima fusione vera e propria dell'era digitale in cui i colossi del web si apprestano a diventare banche essi stessi. Sono loro i concorrenti del futuro e, al di là di quelle che saranno le riorganizzazioni, si deve evidenziare come Intesa rafforzi la posizione nelle Regioni più produttive d'Italia.
E questo non solo con uomini e sportelli, ma soprattutto con la ricca base di clienti di Ubi: una montagna di dati da analizzare per proporre offerte innovative e tagliate su misura. L'esatto contrario della vecchia «banca di sistema».
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