Da "mestatore" a "vaffa", evoluzione dell'insulto a Palazzo

Capurso racconta la "storia dell'insolenza" nella politica

Da "mestatore" a "vaffa", evoluzione dell'insulto a Palazzo

C'era una volta l'accusa, pesantissima, di malafede o quel «piove, governo ladro» diventato proverbiale ma che nel 1861 rappresentava la massima forma di volgarità nei confronti della politica. In 150 anni siamo arrivati ai «vaffa» in serie di Beppe Grillo, passando per offese e improperi di ogni genere. Siamo peggiorati. Parecchio. Ma il dileggio e l'insulto verso l'avversario politico sono rimasti una costante nella storia repubblicana. Grazie ad atti parlamentari e raccolte di giornali, il libro del giornalista Mediaset Antonello Capurso, ( Storia dell'insolenza, offese, insulti e turpiloquio nella politica italiana da Cavour a Grillo , Il settimo libro editore), regala una vasta selezione di ciò che di indicibile, o quasi, è stato pronunciato dai nostri politici dal 1861 a oggi.

Alcuni improperi presenti nel libro fanno davvero sorridere...

«Quando si voleva accusare qualcuno gli si diceva che era in malafede e per risposta rischiavi di essere sfidato a duello! Una volta il deputato Vincenzo Breda accusò di malafede il presidente del Consiglio De Petris. La seduta durò per ore fino a che Breda si alzò in piedi e ritirò quelle parole. Un politico di oggi di fronte a un insulto del genere farebbe spallucce».

Altri insulti invece aumentano il distacco dai politici.

«Sono quelli che non hanno giustificazione e sono diretti verso tutto e tutti senza senso. E mi riferisco a Grillo e ai suoi “vaffa”. Sono il grado zero dell'insulto, che puoi dire dopo quello? È il massimo del degrado verbale possibile».

Eppure la storia parlamentare è piena di grandi insultatori, alcuni anche insospettabili.

«Un padre della patria come Giorgio Amendola nel 1953 esclamò contro il socialdemocratico Ivan Matteo Lombardo: “Stai zitto tu, sacco di m...”. Non si era mai sentita una frase del genere in Aula».

Ma già prima non mancarono toni fortissimi...

«A scardinare le usanze fu senz'altro D'Annunzio. Arrivò addirittura a suggerire ai suoi di andare a casa di Giolitti, allora presidente del Consiglio, per “ammazzare e impiccare quel mestatore di Dronero, intruglio osceno, boia e labbrone”. Giolitti fu costretto a chiudersi in casa...».

Una menzione d'onore nella categoria la merita anche Togliatti.

«Celebre un suo diverbio con l'anarchico conservatore Giuseppe Prezzolini. Togliatti lo accusò di essere “una meretrice venduta su tutti i marciapiedi” e per pronta risposta si sentì dire: “E tu sei il pederasta passivo dei russi”. Epico».

Venendo ai tempi più recenti, Sgarbi si distinse in Parlamento.

«Un volta disse a un collega: “Ma che ca... dici?”. Richiamato all'ordine teorizzò che quel termine non era offensivo ma ormai di uso comune. Un fuoriclasse».

E poi c'è Umberto Bossi.

«Da “Roma ladrona” a “noi della Lega ce l'abbiamo duro” fino a “col tricolore mi ci pulisco il culo”. La sua epopea è stata un momento di sfondamento nel panorama dell'insolenza politica».

Un altro insospettabile, almeno in apparenza, come Romano Prodi, vanta un doppio primato.

«Fu il primo che dai banchi del governo si fece sfuggire un “ma vaffa” rivolto all'ex ministro Enrico La Loggia. Che rispose con un'interrogazione in cui chiedeva testualmente “Corrisponde al vero che mi ha mandato a fare in c...”?. Ma soprattutto Prodi è primo nella classifica dei peggiori insultatori stilata dall'inglese Times per quando, citando George Bernard Shaw, disse che Berlusconi “si attaccava ai numeri come un ubriaco a un palo della luce”».

Ma chi insulta di più, la destra o la sinistra?

«Veniamo da vent'anni di tutti contro tutti. La sinistra ha fatto passare l'idea che fossero gli altri a insultare ma se guardiamo bene è l'esatto contrario. Basti pensare a Berlusconi. Per lui, come per Giolitti, si può teorizzare il concetto di “indignazione permanente”. Entrambi, unici nella storia italiana, sono stati vittime di odio a prescindere da quello che hanno detto o fatto».

Traiamo ispirazione dal suo libro. Si scateni. Un insulto per Renzi?

«Paraculo».

Per Berlusconi?

«Ne ha già ricevuti abbastanza in questi anni. Un senatore della Margherita, Alessandro Battisti, pubblicò addirittura un vademecum di insulti da rivolgergli e pronunciabili senza incorrere in querele. Pazzesco».

Uno per Alfano?

«Farfallina. Come dicevano a fine '800 a chi cambiava spesso schieramento».

Per Salvini?

«Extracomunitario».

E per Grillo.

«Questa volta un bel “vaffa” a te, Beppe».

Per Napolitano?

«Il presidente non si insulta. Anche se un giorno sarebbe divertente se fosse lui a lasciarsi andare a un insulto. Ma è un signore, non accadrà».

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