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Mettere in sicurezza l'Italia? Si poteva fare, con la benzina

Dal 1970 abbiamo sborsato 261 miliardi in accise: per le ricostruzioni ne sono stati spesi soltanto 121,6

Mettere in sicurezza l'Italia? Si poteva fare, con la benzina

In un paese ad elevato rischio sismico come l'Italia, dopo ogni terremoto devastante si ricomincia a parlare della necessità di mettere in sicurezza le case e gli edifici pubblici delle aree a più alta pericolosità. E mentre si fanno i conti e si piangono lacrime di coccodrillo per la mancata prevenzione, si scopre che il denaro necessario per trasformare l'Italia in un paese a prova di terremoto ci sarebbe già. Una montagna di soldi sborsati negli anni scorsi dagli stessi italiani, finiti nelle casse pubbliche e utilizzati solo in parte per lo scopo.

Parliamo dei miliardi derivanti dai cinque incrementi delle accise sui carburanti introdotti negli ultimi 48 anni per recuperare le risorse da destinare alla ricostruzione delle zone terremotate. È stato l'ufficio studi della Cgia di Mestre a calcolare quanto hanno pagato i cittadini e quanti di questi quattrini sono stati effettivamente usati. Il risultato è sorprendente, perché è saltato fuori che abbiamo versato più del doppio rispetto ai 70,4 miliardi di euro spesi per ricostruire le sette le aree duramente colpite dai terremoti che si sono succeduti in questi ultimi decenni, quello del Belice, del Friuli, dell'Irpinia, di Marche e Umbria, di Molise e Puglia, di Abruzzo ed Emilia Romagna. Dal 1970, che è il primo anno per il quale sono disponibili i dati sui consumi dei carburanti, gli italiani hanno dato allo Stato 145 miliardi di euro nominali, che se attualizzati diventano 261 miliardi. Ma per ricostruire le zone danneggiate - la stima è del Consiglio nazionale degli ingegneri - di miliardi ne sono stati spesi 70,4 (pari a 121,6 di oggi).

Quindi acquistando la benzina al distributore abbiamo contribuito alla ricostruzione versando più del doppio rispetto alle spese sostenute dallo Stato (solo i terremoti più recenti, quelli dell'Aquila e dell'Emilia, hanno presentato costi superiori a quanto incassato con l'applicazione delle rispettive accise, ndr). E il resto dei soldi che fine ha fatto? Poteva essere usato per mettere in sicurezza le aree a più elevato rischio sismico, come sarebbe necessario per scongiurare altre tragedie. Ma non è stato fatto. Eppure i soldi già sborsati erano destinati a quello. Inoltre sempre gli ingegneri hanno calcolato che il costo complessivo per mettere in sicurezza da eventi sismici medi il nostro patrimonio abitativo è pari a circa 93 miliardi di euro, dunque i soldi delle accise che non sono stati usati potevano servire per rendere antisismiche almeno tre quarti delle zone a rischio. «Ogni volta che facciamo il pieno - spiega il coordinatore dell'Ufficio studi della Cgia, Paolo Zabeo - 11 centesimi di euro al litro ci vengono prelevati per finanziare la ricostruzione. Con questa destinazione d'uso gli italiani continuano a versare all'erario circa 4 miliardi di euro all'anno. Se, come dicono gli esperti, questi fenomeni distruttivi avvengono mediamente ogni 5 anni, è necessario che le risorse siano impiegate in particolar modo per realizzare gli interventi di prevenzione nelle zone a più alto rischio e non per altre finalità». Per Renato Mason, segretario della Cgia, la destinazione delle accise dovrebbe essere razionalizzata e alcune dovrebbero essere cancellate, visto che ne paghiamo ancora di vecchissime, come quelle per la guerra in Abissinia, per la crisi di Suez, per il disastro del Vajont e per l'alluvione di Firenze. Fu il governo Monti a renderle permanenti proprio per recuperare risorse da destinare alla ricostruzione.

Ma di fare prevenzione con i soldi rimasti neanche a parlarne.

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