Sale sul palco al suono di O sole mio, maniche della camicia arrotolate, accenna anche un do di petto, allarga le braccia: «Che bella cosa una giornata di sole».
E in effetti a Roma il clima è estivo, su piazza del Popolo gremita di bandiere tricolori del Pd splende il sole, e gli organizzatori della manifestazione che apre il rush finale per il Sì sono soddisfatti: «L'abbiamo riempita». Matteo Renzi ha voluto una prova di piazza del suo Pd, una di quelle classiche manifestazioni da centrosinistra (non a caso la piazza è quella storica dell'Ulivo) che in genere non sono nelle sue corde. Ma l'operazione, organizzata al millimetro dal Nazareno, doveva essere anche un chiaro messaggio alla «Ditta», quella dei vari Bersani, Speranza e D'Alema, che la piazza la hanno disertata e che sono schierati contro la riforma (da loro stessi votata in Parlamento): il messaggio che il partito, i suoi militanti, le sue bandiere, persino il canto di «Bella Ciao» sono da un'altra parte rispetto ai rancori del suo vecchio gruppo dirigente. Non a caso, quando Renzi lo evoca, per Massimo D'Alema partono fischi quasi più sonori che quando il premier prende in giro Salvini e i «diamanti in Tanzania» della Lega. «D'Alema - dice il premier dal palco - ha detto delle parole sugli anziani che vorrei fossero state dette per sbaglio. Il punto è un altro, come mi ha detto un sindacalista dei pensionati che è qui: noi votiamo sì, perché quelli li abbiamo visti all'opera». Boato. Altro che mediazioni sulla legge elettorale per convincere la vecchia guardia a non rompere: Renzi li rottama in poche battute: «Ci dicono che loro avrebbero fatto meglio di noi la riforma. Magari è vero, peccato però che, dopo averne discettato per decenni, si siano dimenticati di farla. Ma il fatto che voi abbiate fallito - incalza rivolgendosi direttamente a Bersani e compagnia - non vuol dire che dovete impedire a noi di riuscirci». Quanto all'Italicum, «abbiamo aperto, anzi spalancato la porta alla discussione. Ma non può diventare l'alibi per un no già deciso».
In piazza però, a segnalare una frattura nella minoranza, c'è Gianni Cuperlo: «Sono venuto con le mie idee e le mie convinzioni, per dare una mano a ridurre le distanze nel partito. In questa piazza c'è la nostra gente», spiega, tra un abbraccio e l'altro con i militanti Pd felici di vederlo con loro. La sua presenza manda in bestia i bersaniani, ma serve ai renziani per dimostrare che con un pezzo di sinistra ex Pci il dialogo è tutt'altro che interrotto. Quanto a Bersani e compagnia, Renzi ha gioco facile a ritorcere contro di loro le accuse di cui lo fanno bersaglio: «Il vero partito della Nazione è quello del No, che va da Brunetta a Travaglio, che tiene insieme Monti e Salvini, Gasparri e De Mita, che da Berlusconi a Grillo a D'Alema sa dire solo no».
Mentre il premier, sceso dal palco, si concede al bagno di folla tra i manifestanti sulle note di People have the power, si apre il consueto balletto sulle cifre: 50mila per gli
organizzatori, la metà secondo i critici. Intanto, secondo un sondaggio di Scenari Politici per Huffington Post, il 66% degli intervistati dice che Renzi, se vincesse il No, dovrebbe dimettersi. Come d'altronde ha detto lui stesso.
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