"Mi viene il sospetto che tu non sappia cosa sia la passione"

Luciano De Crescenzo risponde alla lettera del filosofo Cartesio calandosi nei panni di Elisabetta, pincipessa di Boemia e figlia di re Giacomo I d'Inghilterra

René Descartes (1596-1650), filosofo e matematico francese
René Descartes (1596-1650), filosofo e matematico francese

Caro Cartesio, le sue parole mi lusingano, così come la devozione che non sono certa di meritare del tutto. Forse, agli occhi di molti, dissertare sulla felicità può sembrare inutile, eppure, sono convinta che la sua affannosa ricerca rappresenti uno dei principali interessi dell'uomo. Certo, non sempre la si cerca nei luoghi giusti. Alcuni, tratti in inganno da ciò che i più considerano necessario, sono convinti di trovarla nei beni materiali, ma il possedere o meno qualcosa raramente riesce a sollevare la nostra anima da quella latente insoddisfazione che tende ad alimentare la nostra infelicità. Ora, sebbene reputi interessanti gli spunti di riflessione scaturiti dal nostro scambio epistolare, seppur a malincuore non posso fare a meno di dissentire in parte da ciò che lei sostiene. Lei, che invita l'uomo a praticare il dubbio ogniqualvolta si trovi nella condizione di dover esprimere un'opinione, è davvero convinto che sia sufficiente assoggettare le passioni alla ragione?

Ecco, a questo punto non posso fare a meno di essere colta io da un dubbio, e chiedermi se lei nel corso della sua vita abbia realmente conosciuto la passione, perché solo un uomo che non ha mai provato l'amore, quello vero, può pensare che una passione possa essere addomesticata. Sia chiaro, quando parlo di amore mi riferisco a quel sentimento che ci induce a mettere da parte, spesso contro la nostra volontà, proprio il buonsenso. Ed ora eccomi qui, indecisa se sorvolare su questa annosa questione o seguire le orme del filosofo del panta rei e rimproverarla: così come Epicuro, infatti, ha ammonito duramente Stilbone, mettendolo in guardia dalla convinzione secondo la quale il saggio, in quanto sostenitore dell'apatheia, basta a se stesso, io sono qui ad invitarla a mettere in discussione il suo pensiero. Per quanto possa sforzarmi, infatti, non riesco assolutamente a condividere l'idea secondo la quale l'assoggettamento delle passioni alla ragione, che a mio avviso ne comporta la consequenziale assenza, possa essere considerata una virtù. Probabilmente questa affermazione farà vacillare la venerazione che ha ammesso di nutrire nei miei confronti, ma sebbene sia consapevole della predisposizione dell'individuo a guardare sempre a ciò che è stato, al tempo «andato», non posso fare a meno di essere convinta di ciò: se mettessimo da parte anche solo per un momento la ragione, lasciando il giusto spazio alla passione e all'irrazionalità, potremmo vivere con intensità ciò che la vita ci offre, accettando anche gli eventuali dolori che ne possono derivare. Dovremmo smetterla di concentrarci sul «poco fa» e indirizzare i nostri sforzi sul «qui e adesso», godendo di ogni istante, imparando a mettere da parte i momenti tristi perché, è proprio vero: non c'è nessuno che non desideri la felicità, e tutti dovremmo impegnarci per raggiungerla.

Ebbene,

per quel che mi riguarda, proverò a cercarla nelle piccole cose, magari nell'attesa della sua prossima missiva.

Elisabetta

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