Minacce agli italiani e ritorsioni in Libia. L'espulsione è stata un atto di sicurezza

L'allarme lanciato dai Servizi segreti con Caravelli: "Ambasciate in pericolo"

Minacce agli italiani e ritorsioni in Libia. L'espulsione è stata un atto di sicurezza
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Ritorsioni sugli italiani, possibili manifestazioni violente davanti all'ambasciata, rappresaglie contro l'Eni e per di più oltre ai civili, abbiamo in Libia oltre 200 militari. L'espulsione in gennaio del generale Osama Almasri, che sta scatenando un polverone politico, era dettata da fondati timori di rappresaglie. Per essere ancora più chiari da realpolitik e soprattutto difesa degli interessi nazionali o meglio dell'incolumità dei connazionali in Libia. Questa è la "colpa" del governo italiano messo in allerta fin dall'inizio della vicenda dal direttore dell'Aise, la nostra intelligence all'estero, il generale e prefetto Giovanni Caravelli. La relazione del Tribunale dei ministri non lascia dubbi sui pericoli e le minacce per l'Italia se non avessimo espulso il tagliagole libico, che oggi sembra caduto in disgrazia, riportandolo a Tripoli. Caravelli ha redatto di suo pugno il documento "classificato segreto" sulle informazioni ricevute dalla capitale libica fra il 19 e 20 gennaio "in merito ad una certa agitazione che stava montando a seguito del fermo del generale". Per questo motivo il direttore dell'Aise ha subito informato Alfredo Mantovano, sottosegretario alla Presidenza del Consiglio con delega per i sevizi segreti. Caravelli fa notare che la Rada force, milizia istituzionalizzata di Almasri, "operava in quartieri nevralgici della capitale, compreso quello dove erano dislocate la nostra Ambasciata e la residenza dell'ambasciatore". Se non avessimo consegnato il generale avrebbe potuto minacciarle senza problemi. "C'era molta agitazione ed indicatori di possibili manifestazioni o possibili ritorsioni nei confronti dei circa cinquecento cittadini italiani che in qualche maniera vivono a Tripoli o arrivano a Tripoli o in Libia, nonché nei confronti degli interessi italiani" ha spiegato Caravelli. Le antenne dell'Aise nutrivano preoccupazione per l'hub del gas di Mellitha, vicino al confine tunisino, gestito dall'Eni con i libici. "La Rada Force aveva una collaborazione con le forze di sicurezza che operavano nell'area di quello stabilimento" ha evidenziato il direttore dell'intelligence. Sulla natura delle ritorsioni veniva ricordato "il recente precedente di Cecilia Sala arrestata in Iran" e "che la Rada Force, gestendo l'attività di polizia giudiziaria, avrebbe potuto effettuare dei fermi di nostri cittadini all'ingresso nel paese e sul territorio libico o perquisizioni negli uffici dell'Eni". Un'operazione di rimpatrio degli italiani avrebbe richiesto tempi non brevi e soprattutto rischiava di venire "ostacolata da Rada che aveva il controllo dell'aeroporto" di Mittiga. E comunque "in ogni caso, sarebbero rimasti esposti a possibili ritorsioni gli interessi stanziali in Libia". Di fronte a questo quadro non espellere Almasri sarebbe stato un harakiri. Nella relazione non viene fatta menzione, che oltre ai civili abbiamo in Libia la Missione bilaterale di assistenza e supporto (Miasit) con un numero massimo di 200 militari, che addestra e consiglia le forze di sicurezza libiche. In gennaio era ormeggiata alla base navale Abu Sitta di Tripoli, nave Tremiti con 36 uomini di equipaggio, in appoggio alla Marina locale anche per il contrasto all'immigrazione illegale. "Rada faceva quello che vuole ad Abu Sitta e ancora oggi controlla Mittiga dove atterrano i C 130 italiani con personale o approvvigionamenti per Miasit. I militari sarebbero stati pure nel mirino" spiega una fonte del Giornale a Tripoli. Lo stesso generale Luigi Tufano, che comanda la missione, fa base in un albergo non lontano dall'ambasciata, che poteva finire sotto tiro.

La nostra sede diplomatica è difesa dai carabinieri del Tuscania, ma Rada, pur di riavere Almasri, avrebbe potuto organizzare manifestazioni mandando avanti i civili, che come è già capitato in Libia poi diventano violente con i miliziani annidati alle spalle.

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