Il Minculpop M5s: "Solo Luigi in video"

Il diktat di Casalino ai suoi: "I temi sono i due forni e l'atlantismo"

Il Minculpop M5s: "Solo Luigi in video"

Sono passati solo cinque giorni dalle elezioni politiche del 4 marzo, quando il leader del M5s Luigi Di Maio, insieme al capo della Comunicazione Rocco Casalino incontra i nuovi parlamentari stellati nel lussuoso Hotel Parco dei Principi, a Roma, quartiere Parioli. Il Movimento, proprio in quella occasione, a quanto racconta chi ha partecipato, scrive una nuova pagina di storia del suo rapporto controverso con la televisione. Tra le istruzioni date agli eletti ce n'è una che sa di ritorno al passato: «Non si va più in televisione». Al massimo si faranno interviste concordate «senza contraddittorio» e «nella fase di trattative per il governo, il M5s in tv sarà rappresentato quasi esclusivamente dal capo politico Luigi Di Maio». Così è stato. I «portavoce» sono spariti dagli studi dei talk show.

Dal 5 marzo ad oggi si segnala solo qualche comparsata one to one, come impone la dottrina Casalino improntata sull'assenza di dibattito con i politici degli altri partiti, dei fedelissimi di Di Maio. Da Riccardo Fraccaro alla capogruppo alla Camera Giulia Grillo.

La scelta è, in apparenza, coerente con le prescrizioni anti-televisive del Movimento delle origini. Sicuramente in controtendenza con quanto è successo a partire dalla seconda metà della scorsa legislatura. Quando i parlamentari grillini avevano preso l'abitudine di frequentare i salotti televisivi per accapigliarsi con i giornalisti e gli avversari di destra e sinistra. Il nuovo oscurantismo ha portato Di Maio ieri ha invocare la chiusura delle televisioni del gruppo Berlusconi.

Una specie di Minculpop: «È arrivato il momento di mettere mano al conflitto d'interessi e di dire che un politico non può essere proprietario di mezzi di informazione» ha attaccato il leader M5s riferendosi al Cavaliere. Chi conosce il Movimento, spiega così la piroetta mediatica: «Si sono resi conto che il gruppo parlamentare non è preparato ad affrontare un tipo diverso di dibattito, in questa fase sono in crisi di linea politica e preferiscono puntare solo su Di Maio».

Difficile, per la maggior parte dei pentastellati, maneggiare alchimie come quella dei «due forni», proporre contratti al Pd ed ergersi a garanti della stabilità dell'alleanza atlantica. Ci ha provato Paola Taverna, il 17 aprile, in un moscio faccia a faccia con Floris. Ma molti militanti sono rimasti delusi dal cambiamento di pelle della pasionaria. Meglio giocare tutte le fiches sulla grisaglia di Di Maio. Le redazioni dei talk show sono in crisi. E a perorare la causa pentastellata vengono invitati giornalisti del Fatto come Andrea Scanzi, Marco Travaglio e Peter Gomez oppure opinionisti di area grillina come Carlo Freccero, il sociologo Domenico De Masi e l'imprenditore Arturo Artom. Costretti a precisare di non parlare a nome del M5s.

La strategia sta già provocando le prime gelosie nel Movimento.

Una truppa attenta alla popolarità e all'apparenza. Tanto da far raccontare ad alcuni ex staffisti della comunicazione: «Nel 2013 i parlamentari non vedevano l'ora di andare in tv per diventare famosi». Peccato che adesso gli abbiano tolto di nuovo il giocattolo.

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