Lo slogan, efficace soprattutto per tenere buone tutte le anime del partito, è «da Tsipras a Macron». Un po' di sinistra, un po' di centro liberal e una spruzzata di quella cosa indefinibile che si suol chiamare pomposamente «società civile». Shakerare bene con una dose di portatori di voti locali, guarnire con qualche magistrato (preferibilmente dell'accusa), ed ecco servite le liste del Partito democratico.
La versione di Nicola Zingaretti non differisce molto da tutte quelle precedenti, con la difficoltà aggiuntiva di dover fare i conti con un raffronto impossibile: quello con il 40 e rotti per cento ottenuto da Matteo Renzi nell'ormai lontano 2014. L'allora segretario del Pd si inventò (copiato cinque anni dopo dal non fantiasiosissimo Gigino Di Maio) le capolista donne in tutte e cinque le circoscrizioni, ma all'epoca Renzi, sulla cresta dell'onda, avrebbe potuto anche candidare cinque vicini di casa, e lo avrebbero votato comunque. Oggi le cose son diverse, e l'obiettivo del Pd è - come spiega il capolista del Nord Ovest Giuliano Pisapia - «essere almeno secondi», cioè superare anche solo di un soffio i Cinque Stelle. Un risultato che ridarebbe fiato e ruolo politico al Pd, ma che ora - è la grande paura al Nazareno - può essere messo a rischio dall'ondata di inchieste contro i Dem partita, con mirabile puntualità, a inizio campagna elettorale.
Gli altri capilista sono: nel Nord Est l'ex ministro, autore del manifesto «Siamo europei», Carlo Calenda; nel Centro l'uscente Simona Bonafè (un ramoscello d'ulivo per tener buoni i renziani); nel Sud l'immancabile magistrato, in questo caso l'ex procuratore nazionale antimafia Franco Roberti; nelle Isole Caterina Chinnici, europarlamentare uscente votatissima nel 2014, anche lei magistrato e figlia del giudice ucciso dalla mafia nel 1983.
A mandare su tutte le furie i renziani, che nel voto della Direzione sulle liste si sono astenuti, è stata la decisione di Zingaretti di candidare due scissionisti di Mdp, il dalemianissimo Massimo Paolucci (già europarlamentare) e la bersaniana Cecilia Guerra. L'obiettivo del segretario è di riassorbire quei (pochi) voti della vecchia sinistra post-Pci che avevano seguito Bersani e D'Alema nella rottura, ma soprattutto quella parte di elettorato che si era rifugiata nell'astensione causa risse a sinistra. Per la parte «Tsipras», oltre al redivivo Pisapia (ex aspirante leader di una ipotetica nouvelle gauche, rapidamente abortita), ci sono il milanese Pierfrancesco Majorino o il laziale Massimiliano Smeriglio, provenienti dalla sinistra arcobaleno, o il civico Pietro Bartolo, medico impegnato con i migranti di Lampedusa e protagonista del documentario candidato all'Oscar «Fuocoammare».
Per la parte «Macron», oltre a Calenda, ci sono riformisti a 24 carati come Enrico Morando, già viceministro all'Economia; l'economista ed ex parlamentare Irene Tinagli; Beatrice Covassi, capo della Rappresentanza in Italia della Commissione europea e -last but not least - la rappresentante di En Marche in Italia, Caterina Avanza.
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