Roma - Dieci parole, lo spazio di un tweet , bastano a Matteo Renzi per illustrare la sua strategia per Roma. «È stato bello crederci, grazie a tutti, Viva l'Italia, orgoglio Expo», questo di prima mattina il cinguettio telematico del premier. E in serata, al Tg1 : «Ma quale mandante. Basta chiacchiere, non c'è stata nessuna congiura. Se una città non funziona, se un sindaco non riesce a far girare gli autobus e a sistemare le strade, bisogna prenderne atto. Dire “sono cittadino romano” era un vanto, ora quasi lo si dice con preoccupazione. Con Tronca saremo in grado di restituire ai romani la fiducia». E così, dopo aver messo il cappello sopra l'Expo, «dove ha vinto l'Italia che vuol farcela», il presidente del Consiglio vuole intestarsi anche il Giubileo: un eventuale successo dell'Anno Santo potrebbe infatti neutralizzare la campagna elettorale dei Cinque Stelle, in testa in tutti i sondaggi.
Per vincere la scommessa Renzi punta sugli uomini che hanno garantito il buon esito della manifestazione milanese, a cominciare dal prefetto Paolo Tronca e dal suo dream team . Se ha funzionato per la Capitale morale, questo è il ragionamento, perché non può andare bene pure per la Capitale vera? La vicenda Marino è stata gestita malissimo, il Pd a Roma è a pezzi e la minoranza interna si prepara a un'altra battaglia. Da qui la scelta di «metterci la faccia», impegnandosi sulla ricostruzione della città stando però ben attento a non farsi coinvolgere dalle beghe locali del partito.
Sono in molti infatti nel Pd a chiedere la testa di Matteo Orfini, colpevole di non aver saputo affrontare la vicenda Marino. Prima troppo morbido, poi troppo duro, poi troppo indeciso, infine troppo deciso nella ricerca delle firme che hanno consentito di staccare la spina. «Non se resterò», afferma il commissario dei democratici romani. Ma il premier, dicono, vuole tenerlo al suo posto per gestire un'altra partita difficile, quella delle urne. Rimuoverlo adesso significherebbe dare la stura ai veleni e alle lotte tra le correnti. Orfini invece cercherà di tenere insieme i cocci. Se ci sarà da perdere la faccia mediando con i capetti locali, toccherà a lui, non a Renzi che intanto volerà alto con il Giubileo.
«Aiutare Marino - scrive Orfini su Facebook - è stato il mio principale obbiettivo. Le ho provate tutte ma c'è un punto oltre il quale non si può andare. Se continuare significa danneggiare la città occorre fermarsi perché la perdita di credibilità e autorevolezza del sindaco - di cui solo lui è responsabile - non la possono pagare i cittadini. Il suo racconto autoassolutorio è ridicolo». Il futuro? «Se qualcuno ha nostalgia del partito di prima, che non si accorgeva di Mafia Capitale, che sapeva solo chiudersi nei circoli a litigare, che vincolava le proprie scelte al mantenimento degli equilibri tra le correnti, si rassegni: non tornerà».
Ma la sinistra interna è tornata in trincea e chiede un congresso straordinario. Per fare fuori il Marziano, si lamentano, è stato necessario chiedere una mano a consiglieri provenienti dal centrodestra. «Renzi - spiega Nico Stumpo - ha vinto l'ultimo congresso con lo slogan “mai più con la destra”. Evidentemente le cose sono cambiate». Molto critico anche Alfredo D'Attorre: «Si sta diffondendo la consapevolezza, anche nei territori, che questo non è più il Pd, ma il partito del capo. Basta guardare alla legge di Stabilità e al caso di Roma.
Non c'è stata discussione in una sola sede di partito, segno di un'evaporazione della vita democratica». E Sergio Lo Giudice, portavoce di Retedem, vuole che «il segretario convochi con rapidità una direzione del Pd: l'epilogo della vicenda Marino chiude una pagina ma lascia aperte alcune questioni gravi».
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