La minoranza Pd sogna l'Ulivo. E rispunta Prodi

RomaToh, chi si rivede. Ora che Renzi corre al Quirinale per capire come poterne venir fuori, ora che gli ingorghi comunicativi del premier finiscono per coincidere con quelli istituzionali, rispunta un tenero ramoscello d'Ulivo che pare indicare la strada, un percorso, una soluzione. E quando c'è odore d'Ulivo, non può che profilarsi l'ombra del padre che fu: Romano Prodi. «Ho combattuto per l'Ulivo tanti anni perché pensavo fosse la creazione di un sistema bipolare che unisse diversi riformismi: ci ho dato metà della mia vita...», risponde il Professore a chi chiede lumi.

A gettare il sasso nelle acque sempre più torbide della maggioranza era stata non a caso la regina delle rottamate, la proto-ancella prodiana Rosy Bindi. Che in un'intervista al Corsera avanzava ieri la magica formuletta più o meno come un ultimatum al premier: «Il Pd torni a essere il partito dell'Ulivo o ci sarà bisogno di una forza politica nuova, di sinistra, tutt'altro che minoritaria». All'indomani dell'«aiutino» concesso dai bersaniani per salvare il Jobs Act , dunque il governo, la profferta ha l'aria di una minaccia. Pier Luigi Bersani la esemplifica e minimizza al tempo stesso, mitigando rischi di scissione: «Siamo autosospesi, ma non vogliamo andare da nessun'altra parte. Però Renzi non faccia finta di nulla: non abbassarsi alla discussione può essere un pericolo ancora maggiore per lui. Può fare un volo dall'ottavo piano e il botto sarà più grande».

Le grandi manovre per trovare una «quadra» - tra il giovanotto che rischia il botto e il prossimo inquilino del Quirinale - sono cominciate. «L'ho già detto chiaramente che l'impiccio cui si allude, le assicuro, non è nel mio futuro», si schermisce ancora Prodi. Chiarendo di «non voler parlare dell'Italia neppure sotto tortura, perché verrei continuamente equivocato. Se fai un discorso poi dicono “lui è con Renzi, contro Renzi, sopra Renzi”...». Prudenza connaturata alla persona e a un tema tanto delicato. Cosa che non impedisce il risorgere di un dibattito all'interno del Pd, di cui si leggono tracce tra la viceleader Serracchiani («È roba di vent'anni fa») e l'ex portavoce di Prodi, Sandra Zampa: «È stata la culla del Pd, nessuno pensa di ripartire da lì, ma dalla ricostruzione di un pluralismo reale, nutrito di rispetto e capacità di mediazione con le forze della sinistra». Presupposti fatti propri dalla leader della Cgil, Susanna Camusso, quando lamenta che «il disprezzo nei confronti della Cgil ha fatto sentire i nostri elettori esclusi».

Con echi che arrivano fino alla diatriba via facebook tra il presidente Orfini e l'ex presidente Cuperlo , a colpi di «siete primedonne, se tutti facessero come voi addio partito» e «che peccato, Matteo, non pensavo che arrivassi a questo». Un crepuscolo generale, e non si tratta neppure di dei dell'Olimpo.

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