Dal minuto di silenzio al minuto d'ira e rumore. La protesta degli studenti diventa un pretesto. Altri attacchi al governo

La scuola italiana è in subbuglio dopo l'uccisione di Giulia Cecchettin e, da Nord a Sud, si moltiplicano i sit-in, le manifestazioni, le proteste contro la violenza sulle donne

Dal minuto di silenzio al minuto d'ira e rumore. La protesta degli studenti diventa un pretesto. Altri attacchi al governo
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La scuola italiana è in subbuglio dopo l'uccisione di Giulia Cecchettin e, da Nord a Sud, si moltiplicano i sit-in, le manifestazioni, le proteste contro la violenza sulle donne. Iniziative meritevoli se non fosse l'ideologizzazione del dibattito di questi giorni che ha raggiunto anche il mondo della scuola e dell'università dove collettivi e gruppi studenteschi hanno sposato una narrazione che mette sul banco degli imputati gli uomini in quanto tali, la destra e il governo. Così, l'iniziativa del ministero dell'Istruzione di indire un minuto di silenzio in ricordo di Giulia e di tutte le vittime dei femminicidi, si è trasformata nel «minuto di rumore».

Nei licei di Roma, dal Manara al Morgagni, dall'Orazio al Tasso fino al Farnesina, al Virgilio, al Talete e al Mamiani, gli studenti si sono opposti al minuto di silenzio: «Nelle aule, nei corridoi, diciamo no a un silenzio assordante. Bruciamo tutto. Fate rumore con ciò che potete». Con chiavi, megafoni, applausi, fischi e colpi sui banchi, gli studenti della Capitale si sono mobilitati contro la «società patriarcale».

Un appello a «fare rumore e bruciare tutto» ripreso dalle parole della sorella di Giulia, Elena, che è stato condiviso anche nei licei milanesi. Gli studenti del Manzoni hanno scritto in un messaggio che «Giulia è una delle tante, una delle tante donne uccise da un bravo ragazzo di buona famiglia» aggiungendo «vogliamo giustizia, vogliamo decostruzione, vogliamo rumore». Che cosa si intenda con il termine «decostruzione» è presto detto: la volontà di mettere in discussione il ruolo della famiglia e dei genitori con il pretesto del patriarcato.

Surreale quanto avviene al Liceo Machiavelli di Roma che è stato occupato da un collettivo studentesco (così come il Da Vinci) per protestare contro i femminicidi e a sostegno del popolo palestinese incassando la solidarietà da parte della rete «Donne de borgata»: «Continuiamo a mobilitarci nelle scuole, nelle università e nei quartieri per conquistarci diritti e tutele! Mai più vittime». Gli stessi collettivi che si battono contro la violenza sulle donne in Italia non hanno però speso una parola sugli stupri, i rapimenti e le uccisioni delle donne israeliane da parte di Hamas.

Intanto a Padova nella manifestazione di lunedì, oltre agli slogan contro il patriarcato, sono stati intonati cori contro Matteo Salvini e Giorgia Meloni testimoniando una controproducente politicizzazione della protesta che emerge anche dal comunicato di Cambiare Rotta e Osa con cui si annuncia un sit-in di protesta per oggi a San Lorenzo a Roma: «La nostra rabbia non si placherà di fronte a odiosi minuti di silenzio, a finte lauree ad honorem inventate per Giulia, né di fronte ai discorsi ipocriti dei ministri di questo governo reazionario così come delle opposizioni complici del

disastro in cui siamo costretti a vivere». Polarizzare il dibattito su un tema che non dovrebbe avere colore politico come il contrasto alla violenza contro le donne è il modo migliore per produrre un effetto controproducente.

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