
Carlo Acutis era un ragazzo di 15 anni, viveva a Milano, credeva in modo portentoso in Dio e nel prossimo, era uno studente di liceo ed era espertissimo di informatica. Un giorno si ammalò di leucemia fulminante. Morì in pochi giorni, era il 2006. Al funerale la sua salma fu esposta con le scarpe da tennis. Era un ragazzo come tanti, figlio di genitori della buona borghesia, il padre era torinese, lavorava nella finanza, la famiglia era a Londra per lavoro quando nacque Carlo. Pochi anni dopo la sua morte Papa Francesco decise di farlo Santo. Protettore del Web. La cerimonia di canonizzazione ora è stata fissata da Leone XIV per il 7 di settembre. La signora Antonia Salzano, che oggi ha 58 anni, è la sua mamma. E ha accettato di parlare con noi.
Antonia, cosa rappresenta per la vostra famiglia la fissazione di questa data?
"Il coronamento di un percorso che abbiamo fatto in questi anni. Molto importante. La canonizzazione è decisa direttamente dalla cattedra di San Pietro, non dalla diocesi come la beatificazione. Siamo contenti soprattutto per le migliaia e migliaia di devoti che Carlo ha in tutto il mondo. La canonizzazione vuol dire che il Papa si impegna a dire che quella persona è un paradiso".
Per voi cosa cambia?
"Beh, noi eravamo già convinti della santità di Carlo".
E per gli altri cristiani?
"Carlo può essere un segno di speranza. È un giovane di oggi. E ci permette di parlare di santità tra i giovani di oggi. La santità, ci dice Carlo, non è solo un retaggio del passato".
Che vuol dire essere madre di un santo?
"Ogni madre partorisce un possibile santo. Poi diventarlo sta a ciascuno di noi, con le sue scelte. La madre non c'entra".
È cambiata la vostra vita?
"È un impegno perché Carlo è conosciuto in tutto il mondo. Bisogna rispondere a tante domande, sollecitazioni. Ma la sostanza della nostra vita non cambia".
Cosa rappresenta Carlo per voi?
"È sempre stato uno sprone. Abbiamo visto un esempio concreto, vivente, di santità, e possiamo imitarlo".
Che ragazzo era Carlo?
"Normale nella sua straordinarietà. Tutti siamo normali nei criteri di Dio. Lui era un ragazzo che a sette anni ha fatto la prima comunione e da quel giorno è andato a messa tutti i giorni. A nove anni ha organizzato una Caritas domestica, ha iniziato ad aiutare i poveri, a portare cibo, vestiti e coperte ai clochard. Si è speso per la catechesi, è diventato aiuto catechista a 11 anni. Pensi che la conferenza episcopale statunitense lo ha preso come testimonial".
Come conciliava la competenza e la passione per il digitale con la vita di preghiera?
"La preghiera non gli rubava il tempo. Faceva una vita normale. La scuola, giocava a pallone con gli amici, aveva la Playstation, ma massimo un'ora a settimana si era dato questa regola".
Si dava delle regole?
"Sì, e tutte le sere faceva l'esame di coscienza e si dava i voti".
Cioè?
"Come sono stato con gli amici? Ho rispettato i genitori? Ho compiuto delle buone azioni? Mi sono occupato del prossimo? Si analizzava personalmente. Voleva migliorarsi. Tutti i giorni. Vedeva i suoi difetti, li criticava".
Qual era la sua idea?
"Soprattutto l'aiuto agli altri. Diceva: Non io ma Dio e La tristezza è lo sguardo rivolto verso se stessi, la felicità è lo sguardo verso gli altri e verso Dio. In ogni persona vedeva il volto di Gesù, il prossimo".
Era un ragazzo parco?
"Quando gli volevo comprare due paia di scarpe mi diceva: mamma, uno basta".
Carlo ha reso la normalità straordinarietà, dice lei. Ma in che modo?
"Gesù dice: Voi siete la luce del mondo, voi siete il sale della terra. Un progetto c'è per ciascuno di noi. Il problema è realizzarlo. Questo ha fatto Carlo. Essere santi vuol dire realizzare il progetto che ti è stato assegnato da Dio".
Tutti possono farlo?
"Io quando vado a parlare coi giovani chiedo: tu vuoi essere Santo? Molti rispondono di no".
Diceva Carlo: "Tutti nasciamo originali, molti moriamo fotocopie". Cosa vuol dire?
"Originali nella propria missione. Ognuno di noi nasce con una missione. Noi pensiamo di essere liberi ma in tante cose non scegliamo noi. Non scegliamo quando nascere, dove, in quale famiglia. Abbiamo leggi fisiche che ci governano. Una cosa è certa. Siamo liberi di realizzare o no il progetto che Dio ci ha dato".
Come vede la società di oggi?
"C'è tanta insicurezza nella società. Tanti giovani cercano la sicurezza nell'indossare un marchio. Questo è l'errore. Viviamo nella società del tutto e subito: è una società che non funziona. È la fatica che rende grandi le cose. La fatica nel cercare la grande meta. Oggi dobbiamo risvegliare questo desiderio nei giovani. La rete ci fa assomigliare tutti. La società del copia-incolla è una società misera e triste".
Mi dica sinceramente: che significa perdere un figlio a 15 anni?
"Dipende se sei un genitore credente o non credente. Per me la morte è un arrivederci, non un addio. Non è che una vita bella sia una vita lunga. Posso vivere 110 anni inutilmente. La morte di Carlo è stata un dolore immenso, che mi ha devastato. Ma per un credente ci sono persone che vanno via prima o dopo. Carlo diceva che tutti dobbiamo salire sul Golgota. Una vita bella è quella dove metti Dio al primo posto. Dopo la morte ci si rincontra. Io penso che incontrare Dio non sia una condanna".
Come ha vissuto la malattia di Carlo?
"Sembrava che avesse un'influenza. È tornato da scuola col mal di gola. Il giorno dopo stava peggio. È venuto il dottore, poi in ospedale: leucemia fulminante. Prima di arrivare in ospedale mi disse: Mamma, da qui non esco vivo ma ti manderò grandi segni".
Era tranquillo?
"Sempre sorridente. È morto come uno che non teme la morte e che ha una forza d'animo eroica, straordinaria".
Ha fatto dei miracoli?
"Non sono i miracoli a determinare la santità. Poi i miracoli vengono fuori. E la Chiesa li esamina. Per aprire un processo ci vuole la fama di santità".
Ci sono stati dei segni da Carlo dopo la morte?
"Carlo era figlio unico. Io volevo altri figli ma non venivano. Quattro anni dopo la sua morte, quando avevo avviato le pratiche per l'adozione mi apparve in sogno e mi disse: Non ti preoccupare che sarai di nuovo mamma. Pochi mesi ed ero incinta di due gemelli: Francesca e Michele".
Che gli chiederebbe oggi se potesse?
"Di aiutarmi a diventare santa anch'io".
Ma lei guarda verso se stessa o verso Dio?
"Oh, guardi, se guardo a me non vedo niente di interessante. Preferisco guardare Dio".