La signora Macron ha detto, testualmente: "Se quelle brutte stronze ti contestano le butteremo fuori"
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L’Italia che fa non è soltanto quella dell’impresa: è quella che forma, che studia, che costruisce capitale umano. In questa nuova puntata di Chi fa l’Italia, Hoara Borselli incontra Fabio Vaccarono, CEO di Multiversity, già vicepresidente di Google e figura di primo piano nell’innovazione digitale europea.Vaccarono ripercorre un percorso che va dalla consulenza a Google, fino alla guida del più grande polo di formazione digitale d’Europa. Un fil rouge netto: trasformare i settori dall’interno, portando tecnologia, metodo e visione in mondi abituati alla lentezza. Al centro della conversazione c’è il tema che oggi decide il futuro di un Paese: la formazione continua. Le università telematiche come risposta reale a un’Italia in cui milioni di persone lavorano senza avere mai avuto accesso a un percorso universitario; come strumento per chi studia mentre costruisce una carriera; come via concreta per colmare un divario con il resto dell’Europa che non è più possibile ignorare.Vaccarono spiega come la digitalizzazione – quando guidata, vigilata e progettata – non sostituisca il professore, ma lo potenzi. E mostra come l’intelligenza artificiale, usata dentro perimetri scientificamente controllati, migliori la comprensione dello studente, rafforzi il metodo didattico e renda lo studio più personale, più efficace, più accessibile.Il nodo del pregiudizio culturale sulla “laurea telematica” viene affrontato con i fatti: qualità dei docenti certificata, concorsi vinti, indicatori alla pari delle università tradizionali, studenti che avanzano nella carriera e superano esami di Stato e concorsi pubblici.Ne emerge un’Italia che non rinnega l’aula, ma amplia il perimetro dell’aula. Un Paese che deve imparare a imparare di nuovo, perché la vera sfida non è la tecnologia: è chi saprà usarla per non restare indietro.Una puntata che non fotografa solo un settore, ma una direzione: quella di un’Italia che cresce se studia, e che studia se qualcuno le dà gli strumenti per farlo.
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Roberto Parodi: "Sono convinto che Sala non stia facendo cose per il bene di Milano, ma per altri motivi. Sta facendo cose che interessano a lui per il suo prossimo futuro, non sta facendo il sindaco"
Roberto Parodi: "Tesla, ibride, Euro 6 e 7 che inquinano poco vanno benissimo, perché fanno parte del progresso. Il problema è quando la politica interviene e impone dei divieti. Le società automobilistiche europee si sono tagliate le gambe da sole"
Roberto Parodi: "Ho avuto la fortuna di avere dei genitori che mi hanno dato quello che potevano, specialmente la possibilità di studiare in buone scuole ed è quello che spero di fare con i miei figli. Da lì ho capito che era fondamentale cercare di fare soldi. Ma non per avidità di denaro"
C’è un’Italia che cambia pelle senza cambiare schiena dritta. Roberto Parodi ne è un esempio perfetto. In questa puntata di Chi fa l’Italia, con Hoara Borselli, racconta la sua “prima vita” da ingegnere e banker internazionale, cresciuto nell’epoca dei Barbarians at the Gate, tra JP Morgan, grandi operazioni e bonus da film anni ’80. Un mondo brillante e rischioso, che dopo le crisi dei dot-com e dei subprime inizia però a perdere fascino e prospettiva. Poi lo “switch”: i libri scritti la domenica e i lunghi viaggi in moto diventano lavoro. Yves Confalonieri lo nota, Mediaset gli affida Born to Ride, poi arriva Diario della motocicletta su Rai2, la direzione di Riders e una seconda carriera costruita sulla passione, non sulla rendita. Fino alla terza vita professionale, esplosa con il Covid: la crisi della carta, l’ascesa dei social, una nuova forma di narrazione che genera community, contenuti e – sì – anche reddito. Al centro, un’idea chiarissima del denaro: i soldi servono a risolvere problemi, non a riempire garage di Porsche. Parodi racconta come abbia scelto di investire per i figli, nelle case, più che nei simboli di status. Mentalità da investitore, ma senza idolatria del conto corrente. E poi il capitolo che lo ha reso un bersaglio prediletto degli ecologisti militanti: il “naftone”, l’auto d’epoca usata come provocazione contro il Green Deal ideologico, le ZTL a colpi di telecamera, le piste ciclabili tracciate sulla vernice mentre il traffico esplode. Numeri alla mano, Parodi contesta un ambientalismo che pesa sull’1% delle emissioni globali e dimentica il buon senso: prima si misurano effetti reali su traffico e inquinamento, poi si decide. Ne esce un ritratto dell’Italia che fa, ma soprattutto che ragiona: un Paese fatto di persone che hanno cambiato lavoro, si sono rimesse in gioco, non hanno paura di dire che la modernità non coincide con il divieto permanente. Una conversazione che parla di soldi, libertà, città e responsabilità politica, con il tono schietto di chi ha vissuto tre vite e non ha più niente da recitare