New York - Donald Trump tira il freno e tenta di smorzare i toni della crisi con l'Iran, allontanando il pericolo di un conflitto. «Non voglio la guerra con nessuno», dice il presidente parlando dalla Casa Bianca, pur avvertendo che gli Usa sono pronti, se necessario: «Abbiamo i militari più forti del mondo, siamo preparati, più di chiunque altro». E se da un lato afferma che Teheran «sembra sia responsabile» degli attacchi contro le raffinerie saudite di Aramco, dall'altro precisa che «verifiche sono ancora in corso».
Anche se nelle ultime ore, tra fonti dell'intelligence di Washington e Riad, si fa sempre più strada l'ipotesi che l'attacco agli impianti petroliferi sia stato lanciato con venti droni e una pioggia di missili cruise, almeno una decina, da una base di Teheran in Iran, vicino al confine con l'Iraq. Una tempesta di fuoco che ha compromesso 5,7 milioni di barili di petrolio al giorno, il 6% della produzione mondiale di greggio, facendo schizzare il prezzo alle stelle. Non c'è la prova definitiva, ma la Cnn, citando fonti a conoscenza delle indagini, fa sapere che gli investigatori americani e sauditi hanno stabilito con «altissima probabilità» che l'attacco sia partito dal territorio iraniano. E le medesime fonti escludono pure che le traiettorie dei missili siano compatibili con un lancio da sud, in particolare da postazioni così lontane come lo Yemen (dove gli Houti, i ribelli filo-iraniani, hanno rivendicato l'attacco).
Puntare ufficialmente il dito contro la Repubblica Islamica, tuttavia, vorrebbe dire accusarla di un atto di guerra, con tutte le conseguenze del caso. Ad invocare la prudenza e' soprattutto il Pentagono, che nelle ultime ore ha chiesto a Trump di usare cautela. Mentre l'amministrazione Usa sottolinea come l'affermazione del tycoon che gli Stati Uniti sono «pronti e armati» non abbia nulla a che fare con la minaccia di un raid militare. In ogni caso, il capo del Pentagono Mark Esper e il numero uno delle forze armate Usa Joseph Dunford hanno messo sulla scrivania dello Studio Ovale tutte le opzioni militari possibili: se ci sarà una rappresaglia dovrà essere proporzionata, per evitare un'escalation che porti ad un nuovo conflitto nella regione.
L'ipotesi è dunque quella di bombardamenti mirati su obiettivi specifici, come i siti in cui si trovano le basi di lancio dei missili iraniani o le aree di stoccaggio dei vettori. Una guerra con l'Iran porterebbe con sè conseguenze disastrose, e andrebbe anche contro la promessa fatta da Trump agli elettori nel 2016 di evitare nuovi coinvolgimenti all'estero. Senza contare il contraccolpo economico che potrebbe mettere in pericolo la campagna di rielezione nel 2020. Chi ha sin da subito puntato il dito direttamente contro Teheran, però, è il segretario di Stato Usa Mike Pompeo - che oggi si recherà in Arabia Saudita - affermando che «l'Iran ha lanciato un attacco senza precedenti alla fornitura energetica mondiale». Parole respinte dal portavoce del ministero degli Esteri iraniano Abbas Mousavi, il quale fa sapere che «tali accuse cieche e inappropriate in un contesto diplomatico sono incomprensibili e insignificanti». E nel frattempo, la Guida suprema, l'Ayatollah Ali Khamenei, chiude definitivamente la porta ad un possibile incontro tra Trump e il presidente Hassan Rohani a margine dell'Assemblea Generale dell'Onu la prossima settimana a New York. «Non ci sarà alcun colloquio con gli Usa a qualsiasi livello», afferma.
«Se gli Stati Uniti si pentono e tornano all'accordo sul nucleare, allora possono venire a dialogare con l'Iran tra gli altri membri dell'intesa - continua - Altrimenti nessun negoziato avrà luogo a nessun livello, né a New York né altrove».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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