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Missione finita ma la Libia blocca il rientro dei militari italiani

Missione finita ma la Libia blocca il rientro dei militari italiani

I militari italiani in Libia sono bloccati dai libici, che fanno melina sui visti per il nuovo contingente, che doveva già rimpiazzare i nostri uomini. “C’è una proposta di voli di rientro in patria a febbraio, ma solo una proposta. Il mio compagno - denuncia V. al Giornale - doveva tornare con gli altri militari in Italia il 5 gennaio. Poi ci saranno delle feste islamiche in marzo e il rischio è che si blocchi tutto”. In Libia abbiamo 400 uomini, 142 mezzi terrestri e 2 mezzi aerei. Circa 250-300 sono a Misurata con un ospedale da campo, ma non possono rientrare, nonostante la fine del loro periodo di missione. I libici anche lo scorso anno ci hanno fatto uno scherzetto simile e solo con tre mesi di ritardo le truppe hanno potuto darsi il cambio. “Sono la compagna di un militare impiegato in Libia. Il cambio del contingente era previsto per gennaio, ma attualmente la macchina della burocrazia opera con una lentezza disarmante - denuncia V. - Sì, siamo ricattati da una nazione alla quale l’Italia dovrebbe dare supporto su più fronti. Torna a ripetersi il ricatto libico dei visti”. La missione Miasit fornisce assistenza sanitaria, supporto alle forze armate libiche e appoggio per la lotta all’immigrazione clandestina con una nave della marina nella base navale di Abu Sitta a Tripoli.

Il “ricatto” dei visti è solo la punta dell’iceberg di “notevoli criticità (…) a causa della scarsa collaborazione delle autorità libiche”. La conferma arriva da un’interrogazione al governo del senatore di Fratelli d’Italia, Patrizio La Pietra presentata l’11 gennaio. “Attualmente sembrerebbe che le prefissate partenze per il rientro in Patria dell’attuale contingente - scrive La Pietra - programmato per il mese di gennaio stia subendo ulteriori ritardi in quanto i piani di volo del 5 e 11 gennaio sono stati annullati”.

Il braccio di ferro è dettato da alcuni gruppi di potere a Misurata vicini ai turchi, che non vedono di buon occhio gli italiani. I libici sono anche entrati nella base italiana fotografando i mezzi e l’armeria per poi postare le immagini sui social come se fossimo invasori. Lo scorso settembre il nuovo comandante della Missione bilaterale di assistenza e supporto in Libia (Miasit) l’ammiraglio Placido Torresi è stato costretto a prendere un volo della Turkish airlines da Istanbul, per arrivare in Libia, al posto di un aereo militare italiano.

L’interrogazione denuncia una lista preoccupante di screzi: “Risulterebbe essere stato bloccato per molto tempo nel porto di Misurata il macchinario per la produzione di ossigeno necessario per il corretto funzionamento delle sale operatorie dell’ospedale da campo”. Anche l’attività di “mentoring” delle forze libiche sarebbe praticamente nulla “tranne pochi elementi a Tripoli, ma con attività minimali”. Le autorità doganali libiche hanno bloccato più volte container con “materiale di approvvigionamento destinato al nostro contingente militare creando notevoli disagi”. Vettovaglie che poi sarebbero andate a male. Il senatore La Pietra chiede al ministro degli Esteri e della Difesa se sono al corrente che “durante le missioni esterne dei nostri medici risulterebbe che i militari di scorta non possono nè vestire la divisa italiana, nè tantomeno portare armi”. Un problema che lo scorso anno riguardava anche la scorta del comandante a Tripoli. La situazione è aggravata dal fatto che l’addetto militare preso l’ambasciata italiana non può rinnovare il contratto ai collaboratori locali, come in tutto il mondo, per complicazioni burocratico amministrative.

La Difesa si era impegnata a garantire continuità almeno nelle sedi a rischio dove abbiamo dei contingenti come Libia, Libano e Iraq, ma è ancora tutto fermo e ancorato ad assurde gare per agenzie esterne, pericolose soprattutto dal punto di vista della sicurezza.

Nel frattempo i nostri militari in Libia non sono più i benvenuti, almeno per gli amici dei turchi.

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