
Monsignor Corrado Sanguineti, vescovo di Pavia, qual è il suo stato d'animo per l'elezione del nuovo Pontefice?
«L'ho vissuta con attesa e trepidazione, nella preghiera, con fiducia. Ora con gioia per il Papa prescelto. Sono molto contento. Una scelta bella, molto positiva, come è positivo che sia durato poco il Conclave, nonostante ci fossero tanti cardinali e di provenienza diversa, con una conoscenza reciproca relativa. Significa che è stata trovata subito una convergenza, è il segno di un'unità di cui c'è bisogno nella Chiesa e nel mondo. La scelta del successore di Pietro è un bel dono».
Per molti la prima sensazione è legata al sorriso di Prevost. Mite e dolce.
«È così, per le volte in cui l'ho incontrato. Con i vescovi lombardi è stato molto accogliente e mi ha colpito questo tratto di semplicità e mitezza che appare evidente. Poche settimane dopo si chiudeva l'anno agostiniano dei 1300 anni della traslazione delle spoglie del santo a Pavia. Ho avuto modo di stare con lui, abbiamo concelebrato, ho rivisto questa mitezza e pure una forza di fede. Era sobrio ma presente. Si percepisce che è un figlio di Agostino, che significa non solo appartenere a un ordine ma a un filone fondamentale con la sua spiritualità e teologia, con un forte senso di unità della Chiesa. E ha parlato di pace in Cristo, che non è solo la fine delle guerre».
A Pavia c'è questa presenza forte. Cosa significa essere agostiniani?
«Non sono un esperto agostiniano, ma a Pavia ho la fortuna di celebrare spesso davanti a quelle reliquie, e ho letto molto. Fra le cose che più restano impresse c'è sicuramente il tema della ricerca, dell'inquietudine, è molto moderno, antico ma più moderno di tanti moderni. Una ricerca di Dio che non finisce con l'incontro ma prosegue. Un altro aspetto è il nutrimento della parola di Dio. Agostino ha predicato tantissimo, lasciando tanto. Il terzo aspetto è l'unità in Cristo, di cui c'è bisogno per le divisioni anche interne oltre che nel cammino ecumenico, e in ultimo Agostino è un teologo della storia. Il De civitate Dei è un monumento di teologia della storia, che può ispirare anche noi che viviamo un trapasso di epoca».
Nella sua città questa tradizione è molto sentita e legata anche al culto di Santa Rita.
«La Basilica di San Pietro in Ciel d'oro è anche un luogo di devozione per Santa Rita, con questa caratterizzazione popolare, con grande afflusso di fedeli, anche dal Milanese e di pellegrini che vengono da lontano. Il Santo è intellettuale, meno popolare rispetto a Santa Rita o a Sant'Antonio, ma desta una sua attrattiva. La Chiesa pavese custodisce il culto di queste due figure».
Questa elezione di Leone è sembrata, rispettosamente, uno spettacolo riuscito e «a sorpresa», ma è innanzitutto una questione di fede.
«A parte il mondo dei social, in cui tutti gli eventi assumono un'altra eco, mi pare che la Chiesa abbia parlato con un linguaggio anche molto antico, mi riferisco alle liturgie per Francesco per esempio. Al di là della curiosità che tutto ciò può destare in uno sguardo un po' superficiale, bisogna dire che certi linguaggi antichi, se hanno contenuto, non è che non parlino all'uomo di oggi. Noi, negli ultimi 70 anni, ci siamo spesso preoccupati di come parlare all'uomo d'oggi. È giusto, ovviamente, se non diventa una gabbia. Ci sono molti aspetti frutto della tradizione, che hanno una loro eloquenza. Per il Giubileo, abbiamo visto adolescenti molto colpiti dal passaggio dalla Porta santa. Bisognerebbe accogliere il nuovo senza tuttavia buttare l'antico».
La Chiesa pavese spera in una visita del
Papa?«Ce lo auguriamo, certo. Ora lasciamolo respirare, ma invieremo presto un invito, anche per una visita non dico privata ma anche solo di devozione. Sarebbe una gioia. Lo faremo presto, vedremo quello che succederà».
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