Economia

Il mitico semestre ci lascia solo minacce

L'unica cosa certa è che l'Italia, al tramonto del semestre europeo, assomiglia a una polveriera

Il mitico semestre ci lascia solo minacce

L'unica cosa certa è che l'Italia, al tramonto del semestre europeo, assomiglia a una polveriera. La grande occasione, a quanto pare, è passata e non ce ne siamo accorti. Nel frattempo le speranze di Renzi assomigliano a quelle dell'Inter: non c'è gioco, non c'è squadra, se qualcosa può andar male lo fa e i conti con l'Europa sono sempre in rosso. Messa così servirebbe una via di fuga, il voto. Ri-rottamare il Pd. La tentazione c'è, manca il coraggio e, soprattutto, non si è ancora capito dove sia il bottone per ricominciare l'avventura. Fosse facile, Matteo «stai sereno» l'avrebbe già fatto, invece continua a ripetere che la data di scadenza è il 2018. Rassicura tutti e un po' anche se stesso.

Il semestre europeo doveva essere il jolly, l'opportunità per l'Italia di cambiare i destini dell'Europa. Basta con l'austero vestito tedesco, serve un po' di sole, speranza e soprattutto meno tasse e investimenti. L'idea era che Renzi andava lì e spiegava ai burocrati le virtù dell'ottimismo. Solo che quelli non sono burocrati. Hanno fatto uno strano segno con la testa, che a qualcuno sembrava un sì, e poi hanno detto: ripassi fra tre mesi. Salvi? Per nulla. Perché i burocrati non sono solo burocrati, ma sono anche sadici, così appena il premier italiano è uscito dalla fila, seguito dalla Francia, è cominciato lo stillicidio. L'Italia è lenta. L'Italia è infida. L'Italia promette e poi non fa. L'Italia è sempre sull'orlo del fallimento. Il gran capo Juncker è arrivato a minacciare: a marzo o siete a posto con i conti o vi togliamo la pelle. Sottinteso: tanto sappiamo che non ce la farete. La signora Merkel, che è più rude, si è lasciata scappare un «riforme, riforme, ma quali riforme. Non hanno fatto nulla». Poi le hanno spiegato che certe cose non si dicono. Si sorride, si fa pat pat e poi si picchia a marzo. Così ieri Napolitano, prima di salutare tutti, ha fatto un lungo discorso per difendere Matteo e per dire in sintesi, traducendo dal diplomatichese, che il governo tedesco si comporta da bullo. Non ascolta, vuole sempre avere ragione e in Europa comanda lui. Fine delle chiacchiere.

Adesso tocca a Renzi, e non è messo benissimo. Era partito per fare tutte le riforme del mondo in sei mesi. Poi ha capito che non basta un giubbetto nero di pelle per essere Fonzie. I suoi compagni di partito, quelli della Ditta, stanno ancora tutti lì e un pezzo pesante di Parlamento è in mano loro. Renzi annuncia le riforme e ogni volta si ritrova in un Vietnam di imboscate, litigi, franchi tiratori, boicottaggi. Non ha la forza di andare veloce. Non se la sente di dare neppure una definizione chiara al patto del Nazareno. Di fatto la sua maggioranza ha numeri deboli, numeri infidi. La soluzione sarebbe quella di andare al voto, sbaraccare bersaniani e la miriade di capetti Pd. Ma come? Napolitano si è stancato nel momento sbagliato e la sfida per il Quirinale ha ridato forza ai suoi avversari. L'ombra del futuro presidente della Repubblica sta lì come un fantasma del domani. Ingarbuglia tutto. Renzi lo vorrebbe complice o debole, gli altri vorrebbero un personaggio che lo tiene sotto controllo. Votare, certo. Ma in questo clima? Il marcio di Roma pesa parecchio sul Pd. Se prima votare a primavera sembrava una passeggiata, adesso c'è il rischio sorpresa. Magari il problema non è vincere, ma come vincere, con quale solidità. Renzi ha bisogno di un Parlamento suo, non di un'altra vittoria di Pirro. E poi non è facile andare alle elezioni con l'Europa che ti sta alle spalle. Voi votate invece di fare le riforme? Voi votate con la crisi che vi si mangia? Quello che Renzi sa, e non solo lui, è che la Germania ha già deciso. L'Italia va commissariata. È quello che vogliono, sperano e pretendono. Non arriverà la troika (Europa, Bce e Fondo monetario), ne basta uno, la Commissione europea. Qualcuno che dirà agli italiani cosa fare, cosa non fare e di non farsi illusioni. Se non arriva un miracolo, o una grande intesa costituzionale, a marzo ci ritroveremo con Juncker e i suoi ragionieri con le chiavi di casa in tasca. Juncker chi? Il presidente del governo europeo. L'ex premier del Lussemburgo. Ecco, tutto potevano aspettarsi gli italiani tranne che essere commissariati dal Granducato del Lussemburgo.

A questo punto era meglio San Marino (la Serenissima Repubblica, non il sindaco di Roma).

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