Politica

"Molte toghe non sono più allineate all'indirizzo politico prevalente"

L'avvocato che ha difeso la Santanchè: "Il caso Palamara ha avviato un ripensamento su certe dinamiche di difesa corporativa"

Incredibile ma vero: una sentenza riconosce il diritto di parlare male del giudice che condannò Berlusconi. Vuol dire che il clima sta cambiando?

«Anche senza entrare nel merito della condanna di Silvio Berlusconi del 2013 rilevo che a distanza di anni sono emerse voci critiche, anche fra i giudici, sul trattamento riservato al Cavaliere; e grazie a questo molte espressioni di censura proferite all'epoca possono essere ora lette in maniera diversa e più correttamente inquadrate, così come avvenuto nel caso deciso dal Tribunale di Roma».

Daniela Missaglia è l'avvocato che ha assistito Daniela Santanchè nello scontro giudiziario con il giudice Antonio Esposito, oggetto di giudizi anche forti («mi fa venire la pelle d'oca») da parte della parlamentare. E che ha incassato una vittoria benaugurante.

Esposito aveva scelto la strada della causa civile anziché della querela. Perché?

«Sapeva che la strada del procedimento penale era irta di ostacoli e lungaggini rispetto a quella civile. Se la senatrice Santanchè fosse stata condannata in sede penale Esposito avrebbe poi dovuto instaurare un successivo giudizio civile per vedersi liquidati i danni. Rivolgendosi direttamente al giudice civile ha privilegiato quello che era il suo più immediato interesse, ossia il ristoro economico. Poi è noto che le maglie del giudizio civile sono più larghe. Insomma ha calcolato rischi, tempi e benefici».

Però gli è andata male. Quali erano gli aspetti più insidiosi?

«Premesso che il dottor Esposito può ancora impugnare in appello la sentenza, l'insidia che ho rilevato non stava tanto nella domanda in sé e negli elementi che la fondavano, piuttosto nell'incognita del giudice investito della decisione. Abbiamo avuto la soddisfazione di trovare un giudice che ha pienamente accolto le difese svolte e affermato i principi costituzionali di libertà nell'espressione delle idee, anche in forma di critica sferzante. Questi sono gli emblemi di una democrazia matura».

Magari dopo il caso Palamara qualcosa è cambiato. Magari ci sono giudici che hanno capito che difendere ad ogni costo la categoria non sempre vuol dire fare giustizia.

«É una lettura acuta e interessante ma per ora è solo una ipotesi. Certamente il caso Palamara, a maggior ragione considerando come il suo protagonista ha poi scoperchiato il vaso di Pandora di molti malaffari in seno alla magistratura, è stato un duro colpo per la categoria e posso convenire abbia innescato un ripensamento su certe dinamiche corporative preesistenti. D'altra parte la magistratura non costituisce un blocco monolitico e conosco molti suoi esponenti che non appaiono necessariamente allineati, dal punto di vista politico, all'indirizzo presentato come prevalente. Sotto questo profilo ritengo che si sia fatto un grande passo in avanti e il clima politico esacerbato e di scontro frontale di un tempo sembra volgere verso un una china discendente.

Se questo si tradurrà anche in sentenze come quella emessa nella causa tra la senatrice Santanchè e il dottor Esposito non si potrà che esserne soddisfatti».

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