Monoclonali italiani in ritardo. "Mancano i pazienti per i test. Non c'è più la paura del virus"

Ci aspettavamo di poter utilizzare gli anticorpi monoclonali prodotti a Siena come "stampella" di supporto al primo giro di vaccini. Purtroppo lo faremo solo a terzo giro di fiale già decollato

Monoclonali italiani in ritardo. "Mancano i pazienti per i test. Non c'è più la paura del virus"

Ci aspettavamo di poter utilizzare gli anticorpi monoclonali prodotti a Siena come «stampella» di supporto al primo giro di vaccini. Purtroppo lo faremo solo a terzo giro di fiale già decollato.

La sperimentazione, giunta alla fase due/tre (cioè la fase in cui serve una platea molto ampia di pazienti rispetto ai 30 della prima fase), sta andando più a rilento rispetto alle previsioni. Il motivo? Stavolta non c'entrano gli intoppi burocratici. E tanto meno ci sono problemi di laboratorio sull'efficacia della cura. Uno dei nodi principali che i ricercatori devono affrontare è il reclutamento dei pazienti nella fase clinica.

Da maggio sono state arruolate oltre 400 persone e la ricerca di pazienti è ancora in corso. «Poichè la chiamata di volontari ha coinciso con il periodo in cui la gente ha iniziato ad avere meno paura del virus, abbiamo avuto difficoltà a trovare persone da inserire nel programma della sperimentazione e i tempi si sono inevitabilmente allungati» spiega Riccardo Baccheschi, presidente della Achilles vaccines, l'azienda di Siena incaricata di realizzare il progetto dello staff dello scienziato Rino Rappuoli. Se nei periodi più bui della pandemia, ci si sentiva dei privilegiati a prendere parte a una sperimentazione, ora la percezione del pericolo del Covid è talmente bassa che non si ha più voglia di mettersi in gioco. «Partecipare a un progetto del genere - spiega Baccheschi - significa sottoporsi a controlli periodici, a misurazioni, bisogna seguire l'agenda degli appuntamenti e rispettare le scadenze. È un impegno sul quale bisogna essere motivati». Per altro per aderire alla sperimentazione è necessario dire sì al massimo 72 ore dopo il tampone positivo.

Alla Toscana Life Sciences, madre del progetto, hanno quindi dovuto rivedere le tempistiche ma contano di recuperare tempo in fase di approvazione della sperimentazione, che sicuramente sarà più rapida: il sì agli anticorpi monoclonali di Siena sarà infatti tutto italiano e non dovrà passare sui tavoli delle autorità sanitarie europee per ottenere il via libera in Italia. Verosimilmente quindi potremo avere gli anticorpi monoclonali per l'inizio del 2022. Poichè in ambiente ospedaliero sono già utilizzabili gli anticorpi monoclonali prodotti dalla statunitense Lilly, lo staff di Rappuoli sta puntando su una via che faccia la differenza: anticorpi a basso dosaggio somministrabili al di fuori dell'ospedale con una semplice iniezione intramuscolo. Questo permetterà anche di ridurre notevolmente i costi e di diffondere le fiale anche tra chi non viene ricoverato.

Gli anticorpi prodotti a Siena per ora sono utilizzati come terapia sui pazienti positivi e vengono somministrati solo nelle corsie ospedaliere di 11 centri coordinati dall'ospedale Spallanzani. Tuttavia allo Spallanzani è in corso anche una sperimentazione parallela in cui si stanno studiando gli effetti degli anticorpi anche come profilassi per prevenire in contagio.

Anche Astrazeneca, dopo il caos sui vaccini, cerca di giocarsi al meglio la partita sui monoclonali.

Anche a questo giro batte tutti sul tempo: è stata la prima casa farmaceutica ad annunciare dei risultati positivi non solo nel trattamento della malattia ma anche nella prevenzione del contagio. Se l'autorizzazione dell'Ema e delle agenzie nazionali dovesse arrivare prima della fine dell'anno, la casa farmaceutica britannica sarebbe pronta a produrre almeno un milione di dosi entro il 31 dicembre.

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