Il monsignore gay: finto rivoluzionario ma vero opportunista

Ma se uno è gay, favorevole alle unioni gay e contrario al dovere di castità, perché si fa prete cattolico? La risposta potrebbe smascherare il presunto rivoluzionario per farlo apparire, miseramente, un opportunista. Pensateci bene: voi additereste ai vostri figli come modello moralmente lodevole un uomo che aderisce a una organizzazione, assume su di sé doveri, oltreché diritti, salvo poi trasgredirli nell'ombra e rivelarsi alla luce del sole al momento propizio? Scusate ma non condividevo un fico secco della vostra dottrina, arrivederci e grazie. Eh no, troppo comodo così.

«Sono uscito dall'armadio», ha scandito il dottor Charamsa, neoavvocato per i diritti omosex con un passato da monsignore, traducendo letteralmente dall'espressione inglese, coming out of the closet . La domanda che noi gli poniamo è un'altra: perché mai ci sei entrato in quell'armadio, e perché ci sei rimasto per tutto questo tempo? Che fosse omosessuale dal principio, lo ammette lui stesso nell'intervista al Corriere , del resto sarebbe stato grave da parte sua dichiarare la propria omosessualità come una scoperta recente; avrebbe fatto il gioco di chi si oppone ai diritti omosex sostenendo che l'omosessualità sia una scelta da correggere, e non uno stato dell'essere. Gay invece si nasce, afferma Charamsa, e lui ha impiegato del tempo per accettarlo. Cose che capitano ma onestà imporrebbe a un omosessuale in crisi di identità di non farsi prete cattolico. Lui invece si fa prete e, prima di scoprire «il mondo omofobo» attorno a sé, in quel mondo si destreggia abilmente, da quelle «gerarchie omofobe» si fa benvolere, e i risultati arrivano. Membro della Congregazione della Dottrina della fede, teologo presso due università pontificie: incarichi prestigiosi e ben remunerati.

Spogliato dell'aura da icona progressista, il dottor Charamsa è un uomo che vive nella finzione. Tradisce la parola data. Ripaga con l'inganno le persone che in lui credono. Trae vantaggi dalla pubblica professione della dottrina della Chiesa pur trasgredendone, nel privato, gli insegnamenti fondamentali. La sua è un'adesione di facciata. Così, in un'epoca senza eroi e senza profeti, l'ultimo mito laico è il promotore dell'inganno come stile di vita. Chi scrive è fautrice della libertà di unirsi, in qualunque forma, tra uomini e donne e animali, purché sia un moto libero dell'animo. Il dovere di celibato e di astinenza sessuale li giudico prescrizioni contro natura. Perciò mi tengo alla larga dalla Chiesa-istituzione, non pretendo di piegarla ai miei personali convincimenti e mai mi sognerei, a maggior ragione, di trarre da essa alcun beneficio. Farsi prete è una scelta, non un obbligo. L'astinenza dal sesso è una scelta, non una rinuncia.

Il momento scelto per il coming out , esattamente il giorno prima dell'apertura del Sinodo dei vescovi sulla famiglia, conferma una delle degerazioni con cui la Chiesa contemporanea deve fare i conti: l'ipersecolarizzazione. Il prete che diviene abile manovratore massmediatico e politicante da strapazzo.

È chiaro l'intento di falsare i giochi, di turbare indebitamente il normale svolgimento dei lavori di un consesso che non potrà non risentire del colpo di teatro su scala mondiale. Come se il giorno prima delle elezioni politiche una commissione antimafia dichiarasse «impresentabile» un candidato. Politicuccia mondana, fin troppo mondana.

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