Moratti, stirpe di potere Dall'impero di raffinerie ai salotti dell'alta finanza

La Saras, a cui ha dedicato tutta la carriera, vale 1,7 miliardi. Gli intrecci con Eni e Agip

Moratti, stirpe di potere Dall'impero di raffinerie ai salotti dell'alta finanza

Moratti in Borsa significa Saras, la società da 1,7 miliardi di valore il cui controllo (il 50,02%) è detenuto in parti uguali dalle due società in accomandita dei fratelli Gian Marco e Massimo. Ma è il primo, scomparso ieri a 81 anni (di 9 anni più vecchio dell'ex padrone dell'Inter), ad averci dedicato tutta la vita. Fin dalla sua fondazione, nel 1962, poi come amministratore delegato e, dal 1981, da presidente.

L'idea di una raffineria di petrolio l'aveva avuta il padre, Angelo, classe 1909, durante un viaggio in Texas nel primissimo dopoguerra. A Milano, da giovane rappresentante di combustibili, Angelo aveva intuito il futuro dell'oro nero. E così, nel 1948, acquistata la raffineria texana, l'aveva smontata, trasportata sull'Atlantico e ricostruita in Sicilia, ad Augusta. È la Rasiom. Prove tecniche di Saras, la raffineria che i Moratti costruiscono in Sardegna nel 1962, a Sarroch, contribuendo allo sviluppo dell'intera comunità locale, che in 20 anni raddoppia i residenti.

Raffineria, per l'appunto: un business che funziona ricevendo il petrolio grezzo e trasformandolo in prodotti da rivendere. Tipicamente combustibili quali benzine, oli, gasolio. Questo fa Gian Marco fin da ragazzo. E questo fa di Saras e della famiglia Moratti un anello strategico del boom economico italiano da un lato, e un tassello finanziario e relazionale dei cosiddetti poteri forti dall'altro.

Fare i petrolieri nell'Italia del dopoguerra significa occupare una posizione chiave nel modello di sviluppo industriale, specie in un'economia di trasformazione come la nostra. Per questo Eni e Agip hanno bisogno dei Moratti per non lasciare la formazione dei prezzi finali ad altri, nel momento in cui in Italia agiscono anche le sette sorelle e soprattutto la Esso, che a sua volta utilizza raffinerie italiane (per esempio il gruppo Monti). Non a caso è la stessa Agip, nel 1969, a rilevare il 15% di Saras, quota che resterà in pancia all'Eni fino al 2001.

Così, già dagli anni Sessanta, Gian Marco con il padre entrano da protagonisti nel complesso equilibrio tra governo, politica estera, aziende pubbliche e capitali privati che ha in Eni e Montedison i poli energetici, in gruppi come Fiat e Pirelli i campioni industriali e nella Mediobanca di Enrico Cuccia la grande regia bancaria e finanziaria. In questa chiave basti ricordare che quando nel 1973 passarono di mano rilevanti pacchetti di minoranza del Corriere della Sera, a rilevarli furono gli Agnelli e i Moratti. E molti videro dietro all'impegno della famiglia milanese lo zampino della stessa Eni.

È in questo ambiente che Gian Marco sviluppa le doti di imprenditore accorto, dai nervi saldi, e di manager attento a tutti gli aspetti delle sue aziende che gli vengono riconosciute da chi oggi ne parla ricordandolo. Doti che tornano utili nei diversi momenti di difficoltà economiche e geopolitiche dei suoi 56 anni in Saras. Come la crisi petrolifera del '73 o, per citare casi più recenti e gestiti in prima persona, la crisi libica del 2011 e le sanzioni del 2016 alla Russia (che era entrata nel 2013 nell'azionariato Saras al 13% con il gruppo Rosneft). Le stesse doti che lo portano al vertice della Unione Petrolifera (la potente lobby dei petrolieri) per nove anni, dal 1988 al 1997; e che nel 1996 lo hanno visto vicino alla candidatura per il vertice di Confindustria, scelto dalla borghesia industriale milanese in contrapposizione allo strapotere della Fiat di Maurizio Romiti.

Tra le operazioni più significative c'è senz'altro la quotazione in Borsa di Saras, che Gian Marco colloca nel 2006. E che si è rivelata un vero affare: i Moratti vendettero il 33% per 1,7 miliardi, a 6 euro per azione, per una valutazione della società pari a oltre 5,5 miliardi. Collocamento che si rivelò però disastroso, con i titoli in calo deciso per anni. Oggi valgono 1,8 euro. Ne seguì anche un'inchiesta della Procura (Gian Marco fu sentito come teste), con il sospetto che il prezzo del collocamento fosse stato gonfiato dalle banche incaricate. Ma l'intero dossier finì poi archiviato.

Tra le pagine più tristi ci sono invece le tragedie di Sarroch del 2009 e 2011: quattro operai morti asfissiati da esalazioni. A cui sono seguite lievi condanne di manager o patteggiamenti.

Storie che hanno molto colpito Gian Marco, che nel gruppo ha sempre investito per i migliori standard di sicurezza. E che ha risarcito le famiglie con l'importo massimo previsto. Pur consapevole che non può mai bastare.

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