Morti da tallio, si indaga in casa

Il sospetto è che l'avvelenamento non sia casuale

Morti da tallio, si indaga in casa

Milano «Indagini concentrate sulla nostra famiglia? Trattandosi di un vero e proprio rompicapo, e quindi di un'inchiesta a 360 gradi, il fatto che i carabinieri della compagnia di Desio possano avere dei sospetti anche su di noi e investigare in questa direzione, è più che legittimo. E non può che rivelarsi una mossa a nostra tutela. Non abbiamo nulla da nascondere. E quando dico noi intendo la mia famiglia, quella di mia sorella e dei miei suoceri».

Domenico, 55 anni, è il figlio di Giovanni Battista e fratello di Daniela Del Zotto, rispettivamente 94 e 62 anni e morti il 2 ottobre scorso all'ospedale di Desio per una intossicazione da tallio, sostanza velenosa pericolosissima. La stessa che undici giorni dopo ha ucciso anche la madre di Domenico, la 87enne Gioia Maria Pittana e portato in ospedale l'altra sorella, Laura, il marito Enrico Ronchi e la badante Serafina Pogliani. Tutti con un unico comune denominatore: erano e sono residenti, o assidui frequentatori nel caso della badante, dell'abitazione della famiglia Del Zotto, la villetta di via Fiume, a Nova Milanese.

Quando le investigazioni, concentratesi inizialmente sull'abitazione di vacanza dei Del Zotto, a Santa Marizza di Varmo (Udine), sono tornate definitivamente in Brianza con un nulla di fatto attestandosi sull'abitazione di via Fiume, un nuovo colpo di scena ha fatto ripiombare la famiglia Del Zotto nella psicosi da tallio: il 13 novembre in ospedale erano finiti infatti i suoceri di Domenico, Alessio Palma e Maria Lina Pedon, 83 e 81 anni, che risiedono a Nova ma non nella villetta di via Fiume. Intanto Laura Del Zotto e la Serafini, in via di guarigione, sono state portate al Centro antiveleni di Pavia, mentre Ronchi è tornato a casa.

«Da quando sono stati coinvolti i miei suoceri il mondo ci è cascato addosso: loro non abitano con noi, quindi annaspiamo ancora di più nel vuoto e nei dubbi» conclude Domenico Del Zotto quando gli assicuriamo che i sospetti degli investigatori sono concentrati proprio su di loro, sulla famiglia intossicata.

«Qualcuno mi ha chiesto perché non ce ne andiamo. Mia moglie mio figlio sono terrorizzati, ma non siamo ancora al punto di voler stravolgere la nostra quotidianità, la nostra esistenza. La verità non può essere troppo lontana».

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